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304 | pensieri e discorsi |
IV.
L’Italia nel 1814 aveva salutato con sollievo, anzi con gioia, il ritorno degli antichi principi e delle vecchie cose. E i principi, tornando dall’esilio, avevano l’aria di dire: — Eh? avete veduto che cosa ci si guadagna con le novità? — In vero Bonaparte era stato il tetro contraveleno della rivoluzione: pensavano. E i popoli respiravano. E nessuno, tra essi, più che il toscano; che ricordava il buon Pietro Leopoldo; e non ultima, in Toscana, la nostra Barga. Eppure subito dopo la sparizione e riapparizione e e l’ultima eclissi del gran Corso, ecco un oscuro fermentare di sette, e un grande lavorare di sbirri e d’inquisitori, ed ecco, nel venti, levarsi, nel mezzogiorno, il tricolore carbonaro, azzurro rosso e nero, e nel settentrione, l’anno dopo, dalla città edificata dai comuni italici contro il tedesco, da Alessandria, inalberarsi un altro tricolore, il nostro, bianco rosso e verde, al grido: Viva l’Italia! E il tricolore cadeva, calpestato dall’Austria; e dieci anni dopo Modena lo riprendeva e lo riinalzava, proclamando: L’Italia è una sola, la nazione italiana una sola. Lacerato anche questa volta dalla medesima aquila bicipite, mentre tutto era fuga, esilio, prigionia e forca, tacitamente distribuiva i tre colori ad alcuni giovani Giuseppe Mazzini; nel trentatre; e diceva: — Diventate molti, diventate tutti, e siate la giovine Italia! Aprite il vostro cuore gli uni agli altri! A chi vi chiede: Che ora è? rispondete: L’ora della lotta! Non chiedete la costituzione, di Francia o di Spagna, ai principi; non fornite ad essi gli elementi vitali per sussistere!