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la messa d’oro 297

piamo, alle cadute; e stilla sulle grandi ferite il suo balsamo! E pregherà, pregherà per quelli che noi incateniamo, che noi serriamo in una gabbia di ferro, che noi seppelliamo vivi in una cella, a gustare per anni e anni, anche, ahimè!, per sempre, lo stillicidio della morte; pregherà per loro che forse un istantaneo oblio d’amore, un frainteso suggerimento, forse, d’amore, trascinò giù; e per i quali noi, l’amore, lo dimentichiamo per sempre!



XIV.


Il candido vecchio si volge, e ci dice: Andate: la messa è finita.

Noi non andiamo ancora, o buon vescovo. È la tua messa d’oro. Sono cinquant’anni che tu adempi il tuo ministero; e noi ti dobbiamo un premio... No; perdona; l’elemosina. Eccola. Un’elemosina ci vuole alla tua vecchiezza non più tanto valida. Eccoti di che costruirti un Ospizio... per i nostri lavoratori raminghi. Noi ti premiamo, noi ti doniamo, noi ti benefichiamo, così. Quelli ci troveranno ricovero istruzioni assistenza e vitto. Ciò farà bene a te. Deporranno lì i loro picconi coi quali mutano faccia al mondo e pur non guadagnano tanto in tutta la lor vita di lavoro da riposare un anno nella loro ultima vecchiaia; sosteranno, nel loro perpetuo cammino, e riposeranno almeno una notte, in un letto, come si suol dire e qui è così ben detto, cristiano. E ciò farà bene a te. Sentiranno, prima di lasciare la patria, per essere forse travolti da frane, avvelenati da miasmi, infranti da cadute, sentiranno una dolce parola