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la messa d’oro 287

plicemente vegetante, divien animale. Ma dalla animalità, che ha comune con le bestie, egli vuole ascendere. Parrebbe un corto andare, questo; ma l’uomo è, pur troppo, spesso costretto ad altro più lungo e fiero viaggio! Egli deve concepire o rafforzare l’orrore per la bestia che ha in sè. Egli discende in sè stesso, e vede, nell’abisso della sua coscienza, tutte le bestie più immonde e più feroci. Vede, e rilutta e rifugge, e così acquista la forza per risalire di quanto egli discese: come l’acqua che per l’impeto medesimo con cui precipitò nel baratro, zampilla pura e diritta al cielo.

Questa è bensì filosofia morale, ma quale unica può scaturire dalle vostre scientifiche premesse di antropologia. Sì: ella nasce dal vostro unico principio della conservazione propria. L’uomo deve conservare la sua umanità, la quale non è un essere, ma un divenire, non uno stato, ma un moto di regresso continuo dalla propria origine, sì, dalla propria origine che l’uomo apprende come una colpa... colpa involontaria, bensì, perchè l’immobile e inconsapevole vegetare della selva oscura non ce l’ho messo io nel mio essere, ma non per questo non è in me; nè io ho racchiuso nella mia natura tanti bestiali émpiti e bramìti, e non posso farne carico ai miei genitori, nè essi ai loro; ma non per ciò io sento meno il loro strepito, che giunge dai lontanissimi primordi sino a me, perchè è in me, e si compone di tutti i gridi, dal gorgogliare del batraco allo squittire del piteco, dal grugnito del ciacco al ruggito del leone e all’ululo del lupo. Noi fuggiamo... sono millenni che il nostro genere fugge per diventare umano, fugge da sè per trovar sè, riconoscendo, spontaneamente, la