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280 pensieri e discorsi

sangue d’un Dio straziato e ucciso, che scorre, misto al suo siero, in una mensa che è un patibolo, in un martirio che è una cena.

Ecco: l’uomo si ciba di Dio! l’uomo beve l’eterna vita!



I.


Ricordo, ricordo questo rito. Nè soltanto perchè quei colloqui segreti con l’invisibile ronzino ancora in qualche cantuccio della mia anima, rimasto tal quale era nella lontanissima fanciullezza: un cantuccio in cui qualcuno che mutava, di posto, tutto, non entrò, perchè pieno di memorie troppo dolci e troppo meste! No: ho assistito alla messa qualche volta anche dopo. Una volta, ricordo, nel 1887...

Ero in un paese quale io non so se nessun altro meglio compendi il bel paese: così tra monte e mare, tra i faggi e gli aranci: nella piccola Massa dipinta. E si diceva una messa per la morte purpurea di quattrocento giovani nostri, avvenuta a un tratto in un deserto lontano. Erano caduti in un mucchio: erano stati scannati, stracciati, evirati. Il gentil sangue latino era divenuto preda delle iene.

Dacchè l’Italia s’era integrata con Roma, quello era il primo fatto d’armi dopo tre lustri di pace inquieta.

Erano morti da qualche anno il Re e il Dittatore. Era morto chi l’aveva, ai suoi inizi, benedetta, questa terza Italia; chi l’aveva suscitata dalle sue antiche memorie, si era spento anch’esso, il misterioso apostolo e profeta, qui in Pisa.

L’Italia era sola, sola con Roma. Con Dogali