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272 | pensieri e discorsi |
normali, quando non è preso dalla febbre delle bestie, ubbidisce a questa verità: che più uno sacrifica della sua vita, in vita, meno, in morte, ne lascia distruggere dalla morte; meno ne ha sacrificato, e più se ne trova nel momento che ella s’annulla.
Quindi non c’è nulla di così vivo come le rinunzie della vita; e nulla di così dolce, come il dolore liberamente accettato. Il calice, a cui si dice Transeat a me, ha l’amaro soltanto agli orli.
Ma ho parlato del Cristo o di Socrate? In vero non ho bisogno di cercare esempi per dimostrarvi l’intima cristianità delle letterature classiche: tanto gli esempi sono presenti allo spirito. E al nostro spirito subito, se si parla di sacrifizio, apparisce non solo il prigioniero d’Atene, ma quello che egli evocava avanti i cinquecento: l’eroe figlio d’una Dea che non fece alcun conto della morte e del pericolo, e più temè il vivere da vile senza vendicare gli amici. Subito a noi apparisce il primitivo eroe del dovere, non solo quando dice alla sua madre Dea, Subito io muoia!, ma quando al cavallo parlante di morte risponde, Lo so da me! E spinge avanti i cavalli col grande grido che emise anche il Cristo. Profonda somiglianza!
Ci vorrà del tempo prima che il figlio della Dea si ammansi nel figlio della levatrice, e che questo si indii in Gesù. E tuttavia, quando Gesù era per nascere, il mondo pagano era preparato a riceverlo. Nessun popolo, se si guarda a ciò che leggeva e scriveva, se consideriamo i suoi poeti e profeti, era più preparato delle genti, a cui poi si rivolgeva Paolo. Roma, che il cristianesimo doveva sconvolgere e conquistare, e farsene la sede, aveva prima del-