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la mia scuola di grammatica | 271 |
rinunzia ch’egli fece a parte, sia pur minima, della sua vita, a pro’ di qualcun altro che gli assomigliava. Questa rinunzia, e le altre via via, che l’uomo ha fatte, ha sempre trovato dopo, ch’erano utili anche a lui; ma nel farle, non era tratto dall’utile. Egli ubbidiva a un sommovimento del suo cuore, a quella voce di dentro, per cui l’uomo è uomo. Ma questo fatto continuamente avveratosi, d’una rinunzia che aggiunge, d’una privazione che accresce, d’un dolore che bea, non ebbe la sua sanzione, che quando fu detto sacrifizio, e quando l’incenso, che nel sacrifizio vaporò, fu l’alito di vita che usciva dalle labbra arse d’una vittima volontaria.
Nel sacrifizio, necessario e dolce, sino all’olocausto, è, per me, l’essenza del cristianesimo; e credo che si possa essere cristiani senza credere a un solo de’ suoi dogmi metafisici, e credo che si possa credere a tutti questi dogmi, senza essere cristiani. E di tale cristianesimo ognun vede come abbiamo bisogno di questa età, nella quale gli uomini si sono gettati sulle nuove terre e sulle nuove forze scoperte, col primordiale ardore di bruti. Quella soave emozione che dopo assai tempo che il bruto predestinato scorrazzava sulla terra nuova, lo fece arrestare avanti la donna inferma di maternità e il bimbo malato di vita, quell’emozione sembra spenta. La scienza se ne risente: ella ricusa di vedere che nel brutale svolgimento dei fatti storici, provocati dalle necessità economiche, passa una corrente calda di carità. Ella vede lotta, non altro che lotta, anche nei fatti di quella società che cominciò necessariamente con una tregua e che deve concludere con una pace. Io vedo, o sento, che ella ha torto. L’uomo, in circostanze