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270 | pensieri e discorsi |
tutto! Ebbene (dimentichiamo ora la persona mia) ebbene quest’errore evidente di matematica è il precetto che circola per tutta la letteratura greco-romana, e la santifica, o volete piuttosto, la umanizza, e fa sì che, in questi tempi di egoismo negl’individui e di imperialismo nei popoli, essa letteratura sia un farmaco, per non dire un vessillo.
Invero che dice quella massima, che nel vessillo è come segnacolo? Dice, o giovani, che noi uomini, noi popoli, la nostra vita non dobbiamo voler viverla tutta. Essa è la condanna dell’egoismo in nome della felicità. Il bambino agiato mangia il suo pane avanti il bambino povero. Come potrebbe egli credere che la metà del suo pane sia più dell’intiero? E sì: egli ne dà mezzo al compagnino famelico: il mezzo che gli resta, per un miracolo ben semplice ma ben vero, lo sazia più, lo rimanda più contento... alla scuola d’aritmetica. Ma ecco: io sfoglio la mia bibbia Arya. In uno di quelle βιβλία, che non è sempre casto, leggo due versi che spiegano più altamente, con una vertiginosa sublimità anzi, il pensiero del pastore Eliconio:
Quello che a me dài solo, tra due partiscilo, il cielo;
e la metà più grande anche del tutto sarà.
Qual mito più eccelso di questo di Pollux che rinunzia a una parte dell’immortalità a favore del fratello? C’è, non dico un mito, c’è, è vero, qualcosa di più sublime; qualcosa di così inarrivabile, che ha dato il suggello del suo nome, a tale tendenza precipuamente umana. Invero ella c’è stata sempre, dal giorno che il bruto si fece uomo: oh! non per interesse — egli era più felice prima! — ma per una