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la mia scuola di grammatica 269


No. Quei libri sono le nostre βιβλία e formano insieme il grande Testamento giapetico della nostra civiltà. Noi li sfoglieremo con la religione che meritano i libri sacri. Che importa se vi sono le pagine di sangue o d’ignominia? Le salteremo noi che non abbiamo il compito della storia e della critica. Non vi sono di tali pagine anche nella Bibbia semitica? Eppure non vi è momento solenne o doloroso, nella vita d’un uomo o d’una gente, in cui un misterioso conforto non suoni con voce lontana e persuasiva dall’antico libro de’ libri letto da un padre di famiglia o da un vecchio pastor di popoli.

E questo effetto a noi fa Omero, a noi fa Virgilio. Non è folle superstizione quella delle sortes. Tutta la letteratura greco-romana è pervasa dal presentimento d’una società buona e felice. Essa è veramente la Bibbia dell’umanità. Orazio trovava in Omero tutta la filosofia; e aveva ragione: quei due sono poemi di vita; e la vita insegna sempre, sebbene un po’ tardi ai singoli viventi, come ella voleva essere vissuta.

Io ho cominciato col dirvi Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus. Sì: possono essere nel mio animo, non ancora al tutto rasserenato dalla catarsi, cattive nubi, fumacchi oscuri di ambizione e di sopraffazione. Forse l’animo irrequieto mi fece per un momento spiacere quest’uffizio, così bello, così a me appropriato, così da contentarsene e da esaltarsene. Ma le mie βιβλία mi soccorrevano col loro consiglio. Il vecchio pastore d’Ascra, del paese caldo di state, rigido d’inverno e buono mai, con l’autorità sua esprimeva rafforzava la massima d’Orazio, e diceva: πλἐον ἦμισυ παντὀς. È più il mezzo che il