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268 | pensieri e discorsi |
non solo per il vostro certo uffizio di maestri, ma anche per il probabile e augurabile ministero di scrittori. A ciò io indirizzerò i miei non facili, nè sempre felici, tentativi metrici e gli studi di lingua e di stile. Ma sopra tutto, a ciò, spero, gioverà il fatto, che non dovendo io se non interpretare e tradurre, io posso scegliere nei singoli autori ciò che in loro è bello o più bello. Per vero, io non sono così antiquato da confondere l’idea di antichità con quella di bellezza; ma so quel che tutti sanno, che nelle letterature greca e romana è in alcuni scrittori o almeno in alcuni scritti ciò che si può chiamare l’eterno, che è sempre nuovo. E così vi gioverà una esercitazione, che io farò con voi e per voi: quella di ripensare nelle lingue antiche non solo qualche prosa ma anche qualche poesia moderna. Io non voglio dir parola dell’utilità che ha tale esercizio per chi deve poi insegnare ai fanciulli. Quest’utilità è sottintesa. Ma dico alto a quelli che volessero, in nome della modernità condannare quest’avviamento allo scrivere e al poetare in una lingua non più atta al commercio, dico alto che v’è un commercio d’idee e sentimenti più utile persino che quello delle cose, e che non è affatto impossibile che nell’avvenire si formi, anzi torni a formarsi, una letteratura internazionale su quelle nazionali; una letteratura che lasci queste, pure e native, al loro posto, ma che sopra esse faccia circolare il pensiero e il sentimento comune.
E so anche altro. Non credo io che la classicità greca e romana sia in tutto e per tutto educativa per il nostro spirito moderno; ma so ch’ella non è, come si va affermando, a dirittura immorale e antisociale.