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252 | pensieri e discorsi |
nire; è passata la speranza e la promessa della concordia e della pace! Quelle porte chiuse vogliono dire famiglie, tutte intiere, raccolte insieme, senza fretta, senza quel rodìo per qualcuno, magari il più necessario, babbo o mamma, che manchi; famiglie raccolte, in quella loro bella compitezza di babbo, mamma e figliuoli, intorno a una bianca tovaglia: quel silenzio sottintende le liete grida dei giovani commessi che solcano le strade campestri con la loro bicicletta, o i minuti bisbigli all’orecchio, un po’ rosso, della loro (perchè no?) della loro amorosa: quella mancanza di vita significa presenza di vita, di vita vera, di vita umana, composta non di sola azione ma anche di pensiero, risultante sì dal lavoro, ma anche dal riposo, nudrita non di solo pane, ma anche d’amore e di gioia.
E se per voi, già avvezzi alle solite occupazioni che sono come il rumor delle carrozze per chi abita in vie molto battute, e si sveglia a un tratto, quando il rumore s’interrompe; tanto il suo sonno è assuefatto a quel tram tram che lo culla; se per voi, assuefatti al cotidiano lavorìo, sul principio quell’ozio tacito sarà quasi mesto e noioso; non dubitate, il sabato compenserà la domenica. Sarete proprio stanchi la domenica, per il gran da fare del sabato; e benedirete il riposo. E noi godremo ogni sabato quel via vai, quel brusìo scalpitìo e gridìo, che piace tanto nelle vigilie delle Pasque dell’anno. E a proposito del sabato: uno dei più grandi poeti del secolo scorso ha fatta la sua più bella poesia, sull’ora gioconda e soave che è nei villaggi la sera del sabato. Nei villaggi? Non anche nelle città? Nelle città, no, non ancora, non ancora in tutte, non ancora nella