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il settimo giorno 251

siasmo e séguito e onori: io so come tutto questo potrebbe venire, e abbondevolmente e ciecamente: basterebbe che pencolassi da una parte piuttosto che da un’altra: ma io non voglio nulla, voglio esser io, cioè nulla, ma io. Ma intanto questa mia nullità mi ha procurata l’unica esaltazione della mia vita: quella di essere tra voi e con voi, a cooperare a una grande cosa e a vedere un grande spettacolo. Il grande spettacolo lo formate voi, commercianti cioè concorrenti cioè quasi nemici, che qui siete insieme e vi metterete d’accordo. E formerete, io spero, un organismo. Qualunque organismo è un composto di concorrenti, di avversari, di forze chimiche e meccaniche che tenderebbero ad elidersi o sopraffarsi; e nell’organismo cospirano tutte a un medesimo fine: la vita. E voi così formerete un organismo e avrete una bella e utile vita collettiva d’armonia e di pace. E la bella nostra città sarà letificata da questo agevole e concorde meccanismo dello scambio, che funzioni senza scosse, e che ogni settimana, nella dolce domenica, cessi dal suo rumoroso armeggìo, e si fermi.

Si ferma e tace. O santa domenica, o giorno di silenzio e di tenerezza e di raccoglimento! Chi, viaggiando, scende in quel giorno a una città che osservi il riposo settimanale, a una grande città solitamente piena di rumore e di moto, prova un sentimento di sorpresa. Le porte chiuse delle lunghe file di negozi, già splendenti di molti colori, e già animate d’un continuo entrare e uscire, danno un’idea di lutto. Si è tentati di dire col profeta: — Come è solitaria questa città! Ella è fatta vedova! Per qui è passata la morte! — E no: è passato l’amore; è passata la pietà; è passata la buona novella dell’umano avve-