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IL SETTIMO GIORNO
Ci sono due lugubri parole che infelice chi le sente oscillare sospese ai due moti d’un pendolo invisibile: Sempre... mai... Sempre... mai... Sempre... mai... Gli uomini condannano talora l’uomo a udire questi due tocchi che sembrano i palpiti dell’infinito e il ritmo dell’eternità. Nella cella solitaria echeggiano, prendendo via via l’anima del condannato e facendola oscillare con loro: Sempre... mai... Sempre... mai... Nessuno spasimo delle membra, nessuna angoscia del cuore pieno di lontani e perduti amori, e anche odii, nè la fame nè l’ignominia, sarebbero intollerabili, se non fosse quel perenne cader di stille dal silenzio universale! Il condannato mette alfine tra quei suoni e la sua anima una muraglia di oscurità: mette la morte: si rifugia di là del sensibile: si accovaccia dietro il gran termine.
Sì!? Di là, dicono, che, se mai altrove, suonano le lugubri parole! E anche di là, nessuna tortura, nessuna tenebra, nessun fuoco e gelo equivalgono a quei due suoni alterni ed eterni: Sempre... mai...! Eppur no: gli uomini, secondo alcuni santi padri e dottori, avrebbero inventato per conto loro un inferno