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una sagra | 187 |
se volete, servi, ma là, oltre i monti e oltre i mari, sono Iloti, cioè servi di stranieri, mi sembra che mi accennino e mi chiamino. Anche me. Sì, io, cui s’imputa piuttosto che si riconosca la più inutile delle arti, io che sono considerato qua un disutile, là avrei avuto la mia missione e il mio fine: narrare quei dolori e quegli strazi e quelle ingiurie: sommuovere qua i cuori che obliano, e là consolare quelli che non obliano: e per la mia parte, che può essere la parte d’ognun di voi, o giovani buoni e forti, piantare i termini, là, delle nuove terre saturnie, e fondare le nuove città pelasgiche.
La nostra Università collocata sul mare e fra terre che danno tante vite all’emigrazione, a me par destinata più d’ogni altra a compiere, col mezzo dei suoi alunni, la riconquista dell’Italia nomade. E ciò ha già cominciato. Un medico che di qui parta e vada là ad esercitare la sua arte, è più benemerito del nome italico, che qualunque uomo di stato, sia pure il più energico e il più previdente. Una nave che tra gli emigranti lavoratori abbia qualche giovane laureato, dalla fronte pensosa e dagli occhi pietosi, porta a bordo la fortuna d’Italia. Quella nave s’incammina a ben più umana e più durevole conquista, che le caravelle di Cortez e di Pizzarro! Oh! l’ardente e luminosa Sicilia deve restituire all’Italia i Mille che l’hanno aiutata a redimersi! Salpino, quando che sia; e non importa se tutti insieme, e senz’altre armi che di luce intellettuale, salpino i mille di Sicilia, e vadano a soccorrere, a unire, a redimere l’Italia transoceanica! Chi sa? forse un destino fulgido pende sul nostro Ateneo: egli è forse il lido di Quarto della pacifica spedizione. E chi sa? col tempo egli avrà