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una sagra | 185 |
vorrà, e vorrà certamente questa figlia della volontà ostinata de’ vostri maggiori, se vorrà trasformarsi ed estendersi.
O giovani, io sto per dirvi cosa che vi prego di accogliere e meditare nell’anima. È una specie di rimprovero che io dirigo, non a voi, o nuovi della vita, ma a noi, a noi quasi vecchi o già vecchi.
Ecco. L’Università si deve estendere nell’avvenire, ho detto. Ora dico: perchè non si è estesa per il passato? E aveva un grande compito da adempiere e non l’ha adempiuto. Essa (io parlo delle università in genere, in genere anzi di tutti gli studi che fanno capo, tutti, all’università), essa, l’Università italiana, ha mancato al suo dovere; ha lasciato commettere un delitto atroce. Voi sapete che l’Italia si è estesa, se non si è estesa l’Università italiana. Migliaia e migliaia di lavoratori ogni anno lasciano la patria. Vanno ad aprire strade, a forar monti, a tagliar istmi per altri popoli, coltivano anche a coloro i campi e badano gli armenti, come gli antichi ergastoli. Altri fanno men nobili arti, non pochi tendono la mano.
In nessun luogo neanche dove sono in gran numero e da gran tempo, sono trattati, oh! no davvero, come meriterebbero i discendenti del più gran popolo dei tempi antichi e i cittadini d’una grande nazione e gli artefici, spesso, della ricchezza di quelle nazioni nuove. C’è oltre alla nostra Italia, o giovani, un’Italia errante, che è da per tutto e non è in nessun luogo, un’Italia faticante, un’Italia veramente schiava, che spesso riceve oltraggi per giunta al salario, per la quale spesso tace anche la pietà. O Italia divisa ed errante e faticante e schiava e oltraggiata e tiranneggiata e derisa e vilipesa, tu sei il nostro rimorso,