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una sagra | 173 |
nostra secolare, questo vecchione, questo patriarca, il quale ora da non so qual angolo sgrana su me i suoi occhioni di fanciullo destato all’improvviso, ebbene, assisterà, questo decrepito, tremolante nel capo e nel viso di piume candidissime, a quello che allora si chiamerà il primo centenario della vera fondazione dell’Ateneo.
L’Ateneo, o giovani, è ancor più giovane di voi! Quel patriarca udrà in quella lontana celebrazione, udrà appena con l’orecchio illanguidito, pronunziare qualcuno de’ nostri nomi; e, oda o non oda, sembrerà con lo scrollìo continuo del capo antichissimo assentire a tutti quei nomi, con un cenno benevolo di ricordo e riconoscimento e forse lode o forse pietà. E il cenno così benevolo lo farà certo per il nome del vindice, per il nome di Giuseppe Oliva (allora non si dirà più commendatore), di Giuseppe Oliva che propugnò e ottenne quel mirabile concorso del Comune, della Provincia e della Camera di Commercio, per il quale il nostro Ateneo nacque piuttosto che rinacque. Chè l’Ateneo sorse, o risorse, (non dimentichiamo!) da un impeto d’amore e d’orgoglio e di fede cittadina. E noi, lettori e studenti, non dobbiamo dimenticarlo mai; e giustificare quell’impeto e assecondare quell’orgoglio e rispondere a quella fede, sì che, in quel primo centenario della risurrezione, quel bianchissimo vecchio, che ora freme tra voi del brivido della vita nuova, senta passare sul capo, già sacro alla morte, il soffio delle cose immortali.
Pensiamo all’avvenire. Il nocciolo d’olivo è deposto nella terra. Pensiamo al molle liquore di pace che si spremerà dall’albero, quando anche esso non