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166 | pensieri e discorsi |
dici che io rinnego il presente per il passato e che non voglio essere dei miei tempi. Oh! bada. La mia idea è questa. L’uomo combatte continuamente contro la morte. Esso alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto può. La nostra vita è gelida e noi abbiamo bisogno di calore; la nostra vita è oscura e noi abbiamo bisogno di luce: non si lasci spegner nulla di ciò che può dar luce e calore: una favilla può ridestare la fiamma e la gioia! Non si lasci morir nulla di ciò che fu bello e giocondo. E consoliamo i banchettanti i quali dopo aver profuso sulla mensa il vino che pareva soverchio da prima, si attristano all’ultimo per la sete insoddisfatta: consoliamoli con l’anfora spregiata che già riponemmo tra le loro risa. E se per ciò la nostra fama non va tanto in alto e tanto per largo, e se la nostra voce non esce dall’ombra delle scuole, pazienza! Io sento che poesia e religione sono una cosa, e che come la religione ha bisogno del raccoglimento e del mistero e del silenzio e delle parole che velano e perciò incupiscono il loro significato, delle parole, intendo, estranee all’uso presente, così ne ha bisogno la poesia: la quale, del resto, anche in volgare, non usò mai e non usa ancora nè la lingua nè i modi nè il ritmo abituali.
Nè credo io che la poesia debba o possa essere l’agitatrice delle turbe, ma la beatrice dei cuori. Ella non gonfia le gote per dar fiato alla tromba; ma attinge brevemente con le dita le corde dell’arpa. Ella non respinge da sè, riempiendo di fracasso e di mania orecchie e cervelli, ma attira a sè con un lontano e fievole tintinno. Ci sono certe musiche che bisogna allontanarsene per gustarle senza esserne