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162 | pensieri e discorsi |
Era, se si vuole, l’ultimo degli umanisti, coi quali aveva in comune, oltre il culto della poesia e della letteratura antica, anche altro: per esempio, se non con molti, almeno con alcuni di essi, la conciliazione nel proprio cuore del paganesimo, se non altro formale, con la devozione cristiana. Ricordo di sfuggita il Poliziano e Pico della Mirandola che vollero essere seppelliti in tonaca di domenicani. E di lui tutti sanno, anche perchè ricordato sul suo feretro in iscrizioni latine, che era piissimo e che diceva molti, credo cinque, rosari al giorno. E nota è anche l’amicizia che lo legava al vecchio Pontefice; amicizia su cui i sentimenti religiosi valevano almeno quanto la comunanza degli studi e del gusto.
Quel gran sacerdote, vecchissimo, smunto, quasi diafano, che regge tanti milioni di coscienze, che sta a guardia inflessibile del passato e accenna a invadere l’avvenire del mondo, e che nel silenzio notturno del Vaticano cesella un’umile preghiera a Maria e i precetti di sobrietà per giungere a una lunga vita! E quest’altro vecchio che errava lungo l’Ionio meditando l’elegia delle rose e dei due scheletri abbracciati in Pompei! S’intendevano, i due vecchi, e si offrivano a vicenda, in nitide edizioni, i loro gracili carmi e si barattavano le loro oneste lodi. Oro con oro cambiavano: non, come accade alle volte, l’uno si faceva spicciolare dall’altro in grosse e molte palanche la sottile unica monetina sua.
E se non unica, era tuttavia oro fine un’opera dell’un d’essi. Nessun lavoro di questi pazienti artefici di latinità aveva mai levato tanto grido quant’uno, il primo forse, del poeta Reggino: lo Xiphias, premiato mezzo secolo fa da quella che ora è la R. Acca-