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160 | pensieri e discorsi |
grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia.
E in questo paese, sino a pochi giorni sono, era il poeta. Chi me ne parlò quando io era ancora giovinetto — ahimè! più di trenta anni fa — in collegio, a Urbino? Un vecchio frate che conosceva anch’esso i doni delle Muse, il padre Giacoletti, il cui nome non s’aggira più, che io sappia, che in qualche melanconico chiostro di seminario. Quel nome era allora illustre per poemi latini sull’ottica, niente meno, e sul vapore.
Il vecchio frate per il quale noi avevamo una ammirazione quasi paurosa, parlava spesso di un poeta, d’un latinista, appetto al quale egli era un nulla; che abitava lontano lontano nell’estremo lembo d’Italia.
Io non dimenticai più quelle parole di lode suprema e qual cenno (il buon frate trinciava l’aria come il Galdino Manzoniano), quel cenno di distanza infinita.
Sì che quando, or sono pochi mesi, mi trovai in quel lembo d’Italia, io ripensai subito al poeta, al Genio del luogo. Egli era bene un poeta, e il poeta, sapete, è quasi un creatore, poichè è colui che con le parole — fiat lux — illumina d’un tratto l’oscurità che ne circonda. Certo la stella e il fiore, la serenità e la tempesta erano anche prima che il poeta ne parlasse, e voi avevate gli occhi per vederle; ma voi non guardavate, e le cose belle erano come se non esistessero: la sua parola fu che per voi le creò. E così io pensava a questo poeta dell’estrema Italia, dove le onde greche si fondono con le latine, come a uno spirito misteriosamente remoto che da