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la scuola classica | 147 |
è la gemma della città, ed è l’orgoglio e la gioia de’ buoni cittadini, che vi vengono a passeggiare intorno, nelle belle sere, per il grande viale di platani e pioppi, scansandosi qualche volta rapidamente avanti la corsa di due giovinetti, che fanno la ginnastica a modo loro e mio. E... come vivremo, compagni miei? Meglio d’ora, molto meglio. Quando si parla di scuole secondarie si sdrucciola sempre a ragionare di stipendio. Ecco, io vorrei che non se ne parlasse e non se ne fosse parlato mai; ma per altro un ragionamento in proposito l’ho fatto anch’io; ed è questo, e credo che torni: se si considera e somma il valore proprio (che si deve indurre, detraendo quello che si ha a detrarre, dall’utile che recano) delle licenze ginnasiali e liceali d’ogni anno, si trova che fanno un totale molto molto molto superiore al danaro che lo Stato sborsa per paga a chi insegna e per altro. Sicchè in verità lo Stato è bensì generoso coi discenti, ma a spese dei docenti. Vivremo dunque meglio, cari compagni. E i poveri? Gl’ingenui sfortunati? Non dubitate: li sapremo bene scovare noi, nelle soffitte e nei tuguri, questi ingegni sani, semplici, primitivi; e quando li restituiremo con l’agiatezza e la gloria alle loro mamme piangenti di gioia e di riconoscenza, troncheremo i dolci loro ringraziamenti, con i nostri, spiegando come — il suo caro ragazzo, signora, coi suoi ottimi successi ci ha chiamati tanti nuovi alunni, che, non per farle torto, ma possiamo consegnarle una buona sommetta, guadagnata da lui stesso, per i suoi primi passi nella carriera... — Così diremo, e il nostro cuore sarà beato.
Ma ho divagato di nuovo? No, perchè questo volevo dire, onorevole Martini, che, siccome nelle