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146 pensieri e discorsi

sono già vecchi, avranno probabilmente agio di decretarli e promulgarli. Sì; perchè è impossibile che lo Stato pensi ancora per molto tempo ad essere, con tanti altri grattacapi, il gran Preside dei Licei e il gran Direttore dei Ginnasi, e, con tante spese, a pagare, quasi senza alcun rimborso, l’istruzione professionale, e a pagarla, con tanto nuovo fervore d’uguaglianza e di giustizia, quasi soltanto ai figli di quelli che la potrebbero comprare coi loro danari. Il giorno in cui lo Stato si libererà di questa briga, oh! sarà un gran giorno per gli spiriti alacri, vigorosi, impazienti d’Italia! Io ho pensato (se non sarò prima andato nel paese ricco di zolle con la donna bianco vestita), quali saranno i miei compagni; gentili sacerdoti dell’Ideale; lassù, a cavaliere di quella piccola, antica città, piena di memorie e di sogni; le cui campane nell’ora del tramonto echeggiando nella valle sembrano, udite di lassù, persuadere blandamente i vivi a ritirarsi, a chiudersi, a dormire nelle belle case bramantesche, perchè dalle necropoli etrusche e romane possano i morti due o più millenni prima uscire senza timore a godersi il fresco della notte ambrosia. Il Liceo o Ginnasio (ci decideremo per uno de’ due nomi: uno è di troppo), su quell’altura, pare il tempio di Minerva, che videro gli esuli d’Ilio, prima apparizione di culto umano, in alto, tra quell’oscuro succedersi di colli sotto la caligo mattinale... Non ricordate? Quattro cavalli bianchi macchiavano il verde d’una prateria; e quegli stranieri gridavano (la voce arrivava fioca e come stanca tra lo sciacquìo del mare), gridavano, e c’era un bel vecchione tra loro: Italiam! Italiam!

Il mio Liceo somiglia dunque a quel tempio, ed