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tiratela a voi, lei e la sua creaturina„ del Manzoni, in persona di Renzo. Ma qui dunque il Manzoni avrebbe imitato Virgilio? Non credo: il Manzoni che, certo aveva pianto più d’una volta nel leggere quella chiusa, nel momento in cui scriveva la sua “madre di Cecilia„, forse non la ricordava nemmeno. A ogni modo, egli ha creato, e precisamente dove non si può negare che abbia imitato: nel paragone del fiore, così comune nella poesia antica e moderna. Ha creato per quel particolare nuovo del bocciuolo che cade col fiore sbocciato: il bambino del fiore! Piccola cosa? Queste piccole cose sono la poesia, solo queste: le grandi sono sovente vampate di retorica, che è una bella, bellissima arte, ma non è la poesia.

Come dunque per queste lagrime, così anche per i passini di Menico, può darsi che il Manzoni non pensasse a Virgilio, mentre scriveva. Ma la sua fantasia, senza che esso se ne rendesse forse conto, elaborava elementi virgiliani. La notte degli imbrogli e dei sotterfugi è l’ultima notte di Ilio trasformata in modo che nessuno, nemmeno il Manzoni, sospetterebbe la strana trasformazione. Eppure è così. L’impressione generale è la stessa. In tutte e due le mirabili creazioni, al brusìo, festivo e straordinario in Virgilio, consueto nel Manzoni, della sera, succede il silenzio notturno interrotto poi da grida, suoni, apparizioni, che finiscono là a un vecchio tempio di Cerere, dove si sono raccolti i destinati all’esilio — spunta sui cocuzzoli del monte la stella del mattino — ; qua nella chiesa d’un convento, donde i fuggiaschi vanno alla riva del lago e s’imbarcano. “Non tirava un alito di vento; il lago giaceva liscio e piano, e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tre-