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132 | pensieri e discorsi |
asseverargli una fama che non ha. Insomma, e per tutti i generi oltre che per l’epico, quando si fanno o si leggono certi studi “crenologici„, bisogna aver in mente due cose per tenere in misura e in tono i nostri giudizi; due cose: l’una, che lo scrittore non può inventare propriamente, chè non è la natura esso o Dio; l’altra, che, se anche lo scrittore potesse inventare proprio, il lettore gliene sarebbe tutt’altro che grato e respingerebbe l’opera sua. Dunque io non parlo d’imitazione che il Manzoni abbia fatto, nè di fonti a cui abbia derivato: voglio fare un cenno, un cenno solo, di qualche cosa di più e di meno nel tempo stesso: adombrare appena lo studio d’una grande mente nell’atto stesso che genera l’opera grande, la quale a lui medesimo, se volesse o potesse fare l’analisi degli elementi semplici di cui è composta, parrebbe più mirabile d’un sogno scomposto nelle sue spirituali molecole. Premesso questo, sapete donde io sento che echeggiano i passini frettolosi di Menico? Dalla più grande e famosa città dei miti, dalla città degli Dei, da Troia, nella sua ultima notte.
Manzoni amava e studiava Virgilio, da cui derivò anzi, si può dire, un, non voglio dire se pregio o difetto, carattere della sua maniera: quel prender parte con un sorriso, con un sogghigno, con una lagrima a ciò che narra; quell’assistere i suoi personaggi con un cenno ora di compassione, ora di rimprovero, ora d’ironia. Un esempio o due, come vien viene. Renzo lascia Lucia e Agnese la sera di quel giorno che doveva essere, e non fu, così felice, per lui, “col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle stesse parole: — a questo mondo c’è giustizia finalmente. — Tant’è vero che un uomo