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eco d’una notte mitica 131

mi fanno l’effetto d’intese o lette altre volte, come di tutt’altri tempi e luoghi, di tutt’altre persone, con tutt’altri costumi. Dove? quando mai? Quei passini specialmente, i passini frettolosi di Menico, mi sembrano echeggiare da una profondità infinita... Ah! ho trovato. Qual maraviglia! Pare un sogno, in cui una persona ora è quella, ora un’altra, e si trovano insieme sensazioni vecchie e recenti, intrecciate e commesse a fare mostri di visioni, poi sparite subitamente in parte e in parte rimaste, come in un paese montano sotto la nebbia mattutina si vedono castelli e piantagioni per aria e un grigio uniforme tra e sotto loro. Ho trovato! Ho trovato! Quale incanto vedere il lavorìo forse inconscio, dell’ingegno che crea, e assistere alla genesi dell’opera d’arte!

Badiamo, io non dico di aver trovato una delle fonti del Manzoni, nè intendo fare uno studio critico e un lavoro d’indagini. Nemmeno pretendo che quello che dico sia proprio e infallantemente vero: mi accontento del verosimile. Sopratutto non si pensi a imitazione. Già tra l’imitazione e le fonti spesso noi confondiamo; e scoprendo fonti di qualche opera d’arte, noi diciamo o intendiamo o facciamo involontariamente credere d’aver tolto qualche fronda alla corona di lauro dell’artista. Il che è curioso parecchio, specialmente se si tratta di poeti epici, che di necessità, per istituto dell’arte loro, raccontano per disteso cose già in parte sapute, e raccontano quelle perchè proprio l’uditore vuol di quelle conoscere maggiori particolari e le avventure che le precederono e le seguirono. Sicchè il poeta, quando per caso deve narrare d’un personaggio nuovo e straniero ai soliti cieli, è costretto a prestargli, a fingergli, ad