Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/131


l’èra nuova 119

compagni d’errore e di dubbio, risonò ben lontana! Ma insomma non si può esser sè ed altri. Il sole era uno, era sempre quello. Come dunque poteva trovarsi all’alba pronto ad alzarsi dal punto opposto a quello donde era disceso la sera? Nella notte certo viaggiava sur una conca, che doveva sprizzare raggi trascorrendo rapida l’oscurità dell’oceano che è sotto i nostri piedi...

Così pensava il pastore e s’addormentava. Il pastore dorme: è assente. Non trova più sè. Si trova in luoghi remoti, dove non è mai stato o dove certo non è. Egli è pur lì dove giace sopra le pelli delle sue pecore. Dunque in lui è qualcuno che va e viene, mentre un altro resta. Dunque è doppio. In vero, questo qualcuno che va e viene insensibilmente ma veramente, è qualcosa d’impalpabile, di nullo, come l’ombra che lo segue o lo precede o gli si sotterra sotto i piedi: come l’ombra, che esso vide, poniamo, al suo Capo, quella notte che errava, per la prateria, al lume della luna, e che andava e veniva con lui. E il Capo morì; cioè, si addormentò d’un sonno più lungo. Il qualcun altro ch’era in lui, e che era come l’ombra, come quell’alito che nelle giornate fredde di caccia vaporava visibile dalla sua bocca anelante, non torna ancora. Aspettiamo. Un giorno, una notte, ancora un giorno, ancora una notte. Si è smarrito. Non torna. Nascondiamo lui sotterra, e poniamo a lui vicini i suoi utensili necessari e gli oggetti suoi cari, perchè allo svegliarsi, ossia al ritorno, li trovi.