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l’èra nuova 115

 infrangere
anche alla morte il telo,
e della vita il nettare
libar con Giove in cielo?



IV.


In questo. Sì: noi diciamo; in questo! Che c’importa del rimanente? La morte doveva ella cancellare. Viaggiare più velocemente, sapere più presto e dare le proprie notizie, aver qualche agio di più, che cosa è mai se non un rimpianto maggiore per chi deve morire? Il morire doveva essere tolto dalla scienza; ed ella non l’ha tolto. A morte dunque la scienza! Noi torniamo alla fede che (è verità? è solo illusione? ma illusione, a ogni modo, che ci vale per verità) che non solo ha abolita la morte, ma nella morte ha collocata la vita e la felicità indistruttibile!

E così alla scienza, sulla fine del secolo del suo maggior lavorìo, è fatto, invece dell’inno che poteva aspettarsi, il rimprovero più amaro. Non solo essa non ha fatto nulla di bene novello al genere umano, ma ha tentato di togliergli il bene che già possedeva. Anzi glielo ha in parte tolto. È vero, si dice, che noi torniamo disingannati e uggiti, alla fede antica; ma qual cambiamento! Le acque del già purissimo lago, che era nella nostra anima, in cui si specchiava il cielo stellato: il lago così piccolo, il cielo così grande, il cielo con tutte le sue stelle: quelle acque sono intorbidate o almeno mosse: le parvenze vi sono offuscate, o girano girano, si alzano, si abbassano. Non c’è più la tranquilla immobilità. Noi siamo costretti (da te, scienza crudele e inop-