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della imitazion sua dei Greci, e spezialmente di Omero. Coi soli Latini ci abbiam proposto di fare il paragone. Or bene. Virgilio nel 10 lib. dell’Eneide così ci fa veder Venere:

Tum Dea nube cava tenuem sine viribus umbram
In faciem Æneæ (visu mirabile monstrum)
Dardaniis ornat telis; clypeumque, jubasque
Divini assimulat capitis: dat inania verba,
Dat sine mente sonum, gressusque effingit euntis.

E il medesimo fa Torquato della sua Clorinda nella stanza 59 canto 7.

Questi (cioè Belzebù) di cava nube ombra leggera
(Mirabil mostro) in forma d’uom compose,
E la sembianza di Clorinda altera
Gli finse e l’armi ricche e luminose:
Diegli il parlare, e senza mente il noto
Suon della voce, e il portamento e il moto.

E nella stanza 42 Canto 15 descrive un loco simile a quello che pingea Marone nel 1° dell’Eneide:

Est in secessu longo, locus, insula portum
Efficit objectu laterum, quibus omnis ab alto
Frangitur inque sinus scindit sese unda reductos,
Hinc atque hinc vastæ rupes geminique minantur
In cælum scopuli;
Luogo è in una dell’Erme assai riposto
Ove si curva il lido, e in fuori stende
Due lunghe corna, e fra lor tiene ascosto
Un ampio seno, e porto un scoglio rende
Che a lui la fronte, e il tergo all’onda ha opposto
Che vien dall’alto, e la respinge e fende.
S’inalzan quinci e quindi, e torreggianti
Fan due gran rupi segno a naviganti.