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230 il processo di pellegrino rossi

Venuto meno alla forza del colpo gravissimo, e caduto in terra n’era rialzato, e sorretto dal Righetti, e dal servo Giovanni Pinadier, che a stenti, il sangue spicciando a larga vena, lo conducevano sù per le scale, e quindi nelle prossime stanza dell’Emo Card. Gazzoli, ove in brevi istanti esalava lo spirito.

Coloro, visto il mortal colpo si dileguarono, sgombrando l’atrio colle parole — È FATTO, È FATTO: VIA, VIA — nell’atto che altri fattisi presso la porta, e sollevando le mani, come a quietare il movimento, che incominciava fra la calca, andavano ripetendo — ZITTI, QUIETI, NON È NIENTE —.

All’annunzio di tanto delitto, da cui rifuggiva l’animo di ogni uomo, che pervertito non fosse, e del quale niuno avrebbe saputo misurare le conseguenze, attonita più che commossa la Città, atteggiavasi come colpita da pubblico infortunio. Eppure nella Camera de’ Deputati nè in quel giorno, nè mai si formulava un’accusa, non si alzava una voce, non risuonava una parola, che muovesse al richiamo dell’assassinio; e udivasi invece in quella stessa mattina in mezzo al turbamento destatosi alla nuova del truce caso, all’ansia, ond’era la maggior parte compresa, benchè in numero non legale i Deputati, il Presidente ordinare la lettura del processo verbale dell’ultima tornata; ma la sala restò quasi deserta, anche prima che la lettura terminasse. E mentre, fosse terrore, o prudenza, la Camera dissimulava l’eccidio di un Ministro di Stato, che si recava nel suo seno, trucidato sotto i suoi occhi, in un terreno soggetto alla vigilanza del suo Presidente, d’altro lato la Guardia Civica, anche quella, che guerniva la piazza, restava inerte, e passiva al suo posto. E verso sera una turba di sollevati, capitanata da quei stessi Legionari, e da altri primi agitatori traeva alle vie più popolose della città, mandando frenetiche grida di gioia scellerata, benedicendo al pugnale, onde Rossi fu spento, menando in trionfo l’assassino, e giungendo perfino presso la casa della vittima illustre, e maledire alla sua memoria, a schernire le lacrime disperate de’ suoi congiunti, e non faceva sosta, che all’alloggio di un Giuseppe Galletti, giunto in quel giorno stesso da Toscana, con cui ricambiava calde e festevoli dimostrazioni di affetto.

Coll’avanzar della notte cessava quell’orgia per dar luogo al nuovo giorno, apportatore di assai più gravi attentati. Imperocché le torme della Fazione ognor vittoriosa ingrossate di guardie civiche, e di popolani d’ogni specie, mossero al Quirinale con lo Sterbini, col Galletti, e col Mariani, ed altri capi, ed imponevano al Pontefice nuovo Ministero democratico, la guerra contro l’Austria,