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documenti 221

sta a parlare di altri soggetti i cui detti potrebbero ferire ugualmente il Grandoni; vale a dire di Felice Neri e di Innocenzo Zeppacori.

Felice Neri, che ognuno di noi conosce in quali condizioni si trovasse in causa, vistosi presso a morte, mandò a chiamare Monsignor Matteucci per fare una spontanea; ma Matteucci vi mandò il degnissimo Monsignor Fiscale col Processante per assumere le sue deduzioni; ed in queste disgraziatamente disse più bugie, che parole, mostrando così esser purtroppo vero che «nonnullos vita prius quam improbitas deserit».

Volle, fra le altre cose supporre, che il 14 il Grandoni facesse affiggere al quartiere di San Claudio un ordine del giorno manoscritto in cui prescriveva che tutti i Legionari in tunica e colla daga si trovassero alla Cancelleria, e che qualora i Carabinieri avessero preso contrasto si fossero tutti raggruppati in piazza di Spagna. Il non essere allora aperto il quartiere, il non potere per ciò affiggersi il supposto ordine del giorno, il non essere allora Grandoni rivestito di un’autorità da emanare tali ordini, l’inesistenza del Battaglione, mostra come quell’infelice volesse mentire sino agli estremi, e come fosse animoso contro il Grandoni a carico del quale anche suppose che il 16 andasse a tirar le fucilate a San Carlino da cui fu ucciso Palma, mentre il Tribunale, per resultati del Processo per questo titolo, lo dichiarò innocente. Ma se anche un momento si volessero attendere i detti del Neri, si guardi cosa egli esprime — a me il Grandoni non rivelò alcuna operazione da farsi — ma da tutte quelle circostanze insieme riunite esso opinò che Grandoni fosse inteso di quel che doveva accadere.

Era una sua opinione, ma Grandoni non rivelò a lui alcuna operazione da farsi. Ma se Neri era nel condetto ferale e si protestava che il Grandoni non gli rivelò, ne viene di conseguenza che anche a volergli prestar fede, non si proverebbe che Grandoni fosse cosciente di quanto era per accadere.

Andiamo a Zeppacori: Quest’altro sciagurato che aveva protestato di non conoscere Grandoni, e che non sapeva se avesse avuto parte al delitto, dopo una lunga tortura per uscir di tribolazione, affrastellò diverse storielle di confidenze fattegli al Palazzo di Venezia dal Costantini e dal Todini, i quali gli avrebbero detto che il Grandoni e il Costa erano al Circolo popolare la sera del 14, quando Canino e Sterbini dissero doversi uccidere Rossi e che quei due entravano nella congiura. Posteriormente ebbe a revocare i suoi detti e a dichiarar che quanto aveva detto, lo aveva detto per tedio