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182 il processo di pellegrino rossi

fu per parecchie legislature Deputato al Parlamento, la spropositata lettera che riferisco fra i documenti.1

Il Zeppacori riparò da prima a Gualdo Tadino, poi a Fossato di Vico, e riprese moglie e mise su un piccolo caffè presso quella stazione ferroviaria, ove visse quasi nascosto e ove morì anche egli, or sono tre o quattro anni, nella tarda età di quasi ottanta anni2.


  1. Vedi Documento N. XXII.
  2. Di questa losca ligura di delatore così parla il chiaro Raffaele De Cesare:
       «A Fossato di Vico conobbi, alcuni anni or sono, un superstite dei condannati a pene minori. Si chiamava Innocenzo Zeppacori e da giovane aveva fatto il pescivendolo. Era un vecchio dallo sguardo sinistro, butterato dal vaiuolo, e portava costantemente una cravatta di lana rossa. Aveva coperte le sudicie pareti di un piccolo caffè, che esercitava presso quella stazione, di brutte oleografie, rappresentanti i più celebri delinquenti politici. Lo Zeppacore, da me interrogato, asseriva di essere innocente, aggiungendo che il giorno dell’assassinio era andato con alcuni compagni, per divertirsi, a Frascati, e che solo tornando la sera a Roma, avevano appresa la morte del Rossi. Nessuna confidenza mi riuscì ottenerne, non è però inverosimile, che l’alibi fosse soltanto fantastico, e che egli avesse invece rivelata la congiura, con promessa di impunità, che non gli fu mantenuta.
       «Zeppacori riproduceva il tipo di quei vecchi e tristi settari, romaneschi o romagnoli, non loquaci che nella bestemmia contro la divinità, nell’odio ai preti e nella irriverenza alla religione; falsi nei loro rapporti sociali; pieni di unzione, anzi adulatori e servili nel bisogno, e sempre pronti a far la festa ad un uomo per comando di setta, o per compiacere agli amici. Per essi la libertà non era rappresentata che dall’odio per ogni governo costituito e dall’esercizio del più sboccato turpiloquio; non avevano paura che della forza soldatesca, sicuri, alla inen peggio, che i compagni non avrebbero parlato. Lo Zeppacori è morto da pochi anni».
       Raffaele De Cesare, Roma e lo Stato del Papa dal ritorno di Pio IX al XX Settembre, Roma, Forzani 1907, vol. I cap. 4° pag. 67-68.
       Ma intorno a Innocenzo Zeppacori io so un altro fatto che merita esser comunicato ai lettori.
       A Gualdo Tadino e poi a Fossato di Vico, egli che, come i lettori sanno, era ignorante, illetterato e volgarmente spavaldo, nei suoi plebei sproloquii intorno ai fatti per cui era stato condannato, a venti anni di galera, a coloro che lo interrogavano lasciava fraintendere, così fra il lusco e il brusco, di avere avuta una parte importante nella trama contro Pellegrino Rossi e, in sostanza, a traverso a tronche frasi e a studiate reticenze, cercava di far credere essere proprio lui stato l’uccisore. Il compianto e valoroso patriota romano Senatore Augusto Lorenzini, che fu per varie legislature Deputato di Spoleto e che, girando per l’Umbria, aveva conosciuto il Zeppacori, quando il Barone Giovanni Nicotera era Ministro dell’Interno per la seconda volta, nel 1891-92. gli chiese, sopra istanza del Zeppacori, un sussidio pecuniario a favore di questo.
       Allorchè il Nicotera, il quale asserì a me tante volte e asseriva a tutti di essersi trovato il 15 novembre 1848, quando egli, esule