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98 il processo di pellegrino rossi

La conseguenza finale fu il trionfo della giusta e onesta tesi sostenuta dall’Avvocato Gui, tesi che fu imposta, dopo diecinnove giorni di resistenza, al Supremo Tribunale, il quale vi si dovette rassegnare.

Di fatti ecco il verbale della udienza del 26 Aprile che ne fa testimonianza.

Mercoledì 26 Aprile 1854.

Il secondo Turno del Supremo Tribunale della Sacra Consulta si è raccolto in seduta e, dopo le solite preci, il Presidente, dà parte all’intero Tribunale della rivelazione di Sante Costantini e delle disposizioni date perchè esso inquisito Sante Costantini sia nuovamente condotto innanzi al Tribunale.

Quindi entra Sante Costantini che dal Presidente è identificato.


    nerale del Fisco e sorse fra me e lui una viva polemica, nella quale, messo da banda ogni riguardo, io parlai con piena libertà ed energia; e fra le altre cose mi ricordo aver detto che la difesa era un diritto ed una reale garantia per l’accusato, non una semplice formalità ed una vana mostra; che io intendevo difendere da senno e non per mera apparenza e non mi sarei mai piegato a vedere inceppata o menomata l’azione del mio nobile ministero. Inutili parole! Il Tribunale Supremo rigettò bruscamente la mia domanda.

       «A questo punto io protestando dissi che, poichè si voleva imbavagliare la difesa a modo che questa era ridotta alla impossibilità di spiegare debitamente il suo officio, la coscienza, la morale, il sentimento d’onore ed il proprio dovere mi imponevano di sospendere le mie funzioni e di ritirarmi.

       «Raccolsi, dopo ciò, le mie carte ed abbandonai la sala di udienza: gli altri miei colleghi, benchè pallidi e tremanti, pur seguirono il mio esempio e il banco della difesa restò deserto.

       «Difficilmente può immaginarsi quale e quanto fosse, dapprima lo stupore e poi lo sdegno dei Giudici Prelati e segnatamente del Presidente Paolini, che era un energumeno. Si trattò fra loro di sospensione, di destituzione, di processo da farsi agli insolenti difensori e, in specie, a me che ero stato la pietra dello scandalo: infine però non fu presa sul momento alcuna risoluzione, ma si determinò di fare dell’avvenuto un dettagliato e ben colorito rapporto al Superiore Governo, invocando severe misure sulla ribelle difesa.

       «Il Ministro dell’Interno, che era pur Ministro di grazia e giustizia, adunò straordinariamente una Commissione, dove la cosa fu dibattuta e dove — sia lode al vero — un sentimento di pudore e di giustizia prevalse: la Commissione decretò che, passando anche sopra la illegalità commessa, la domanda della difesa era ragionevole, epperò dovesse essere accolta.

       «In seguito di tale responso, ci fu data comunicazione delle dichiarazioni del Costantini e fu riassunto il dibattimento della causa, il cui esito fu la condanna del Costantini e del Grandoni alla morte e di altri ritenuti complici alla galera perpetua, o temporanea».