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capitolo decimonono 97

Le conseguenze di quell’atto di ribellione il lettore le rileverà in nota dalla parola stessa dell’insigne Penalista, che così alto tenne, in quella circostanza, la dignità e l’inpendenza della toga.


    e di equilibrio nell’esercizio del suo ufficio di difensore penale, fu ugualmente amoroso, ordinato e integro padre di famiglia.

       Egli venne dettando, per uso dei propri figli, anno per anno, alcune Memorie autobiografiche, modeste, sobrie, intime, il cui manoscritto, vergato tutto di suo pugno, con nitida calligrafia, composto di diciassette quinterni di carta ancóra comprendenti duecentottantotto pagine, esiste presso l’onorando figlio di lui, giurista e magistrato insigne, l’Avvocato Comm. Antonio Gui, Consigliere della Romana Cassazione, mio carissimo amico fin dall’infanzia, il quale gentilmente e fraternamente, ha messo quel Manoscritto a mia disposizione, come a mia disposizione aveva messo tutta la posizione o incartamento paterno riguardante il Grandoni, i fratelli Costantini e il Giovannelli difesi dall’Avvocato Gui, da cui ho tratto molti lumi e parecchi documenti — come i lettori vedranno in seguito.

       In quelle Memorie della mia vita, così l’Avvocato Pietro Gui ricorda quell’ardimentoso incidente, in cui egli, in quel momento di fiera reazione, si era messo a un brutto repentaglio, con queste parole che stimo opportuno ed utile riprodurre, trascrivendole dal quinterno Ho.

       «In quest’anno — scrive l’onorando uomo — fu discussa, fra le altre, avanti la Sacra Consulta, la celebre causa dell’assassinio del Conte Pellegrino Rossi: a me fu affidata la difesa dei due principali accusati, cioè di Sante Costantini e di Luigi Grandoni: il mio compito era gravissimo, perchè la posizione dei due miei patrocinati era sommamente critica e terribile l’accusa da cui eran colpiti. Parecchi giorni durò il dibattimento, nello svolgersi del quale sorsero degli incidenti che misero alla prova il mio coraggio e mi costrinsero ad ingaggiare con quel tremendo Tribunale una battaglia, in cui potevo rimanere schiacciato, eppure, alla fine, ebbi l’onore di uscirne vittorioso.

       «Sante Costantini, che aveva sempre e recisamente negato la sua compartecipazione a quel fatto criminoso, vedendosi stretto dalle prove in contrario e con l’acqua alla gola, nell’intervallo fra una seduta e l’altra, scrisse al Presidente del Turno giudicante proponendogli di fare delle importanti rivelazioni, purchè avesse salvo il capo. Il Presidente, alla insaputa della difesa, mandò un Giudice istruttore alle carceri ad assumere le dichiarazioni del Costantini in fogli separati dal Processo: adunò, quindi, particolarmente i congiudici e il Procuratore Fiscale: comunicò ai convenuti l’interrogatorio del Costantini e dopo essersi fra loro intesi, decisero che non si dovesse dare al medesimo nessuna importanza giudiziale: quindi il Presidente — come se nulla di interessante si fosse operato — ordinò si riassumesse e proseguisse la causa in udienza formale.

       «Al primo riaprirsi della seduta, io dolendomi, pur con rispettose parole di quanto erasi fatto illegalmente e dietro le spalle della difesa, a dibattimento incominciato, domandai almeno comunicazione delle dichiarazioni emesse dal Costantini, le quali, comunque soppresse, non potevano non avere prodotto una impressione sull’animo dei giudicanti, epperò dovevano formare soggetto e materia discutibile dalla difesa: la mia mozione fu virilmente combattuta dal Procuratore Ge-