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capitolo primo | 53 |
Se ce lo avessero trasformato in un ginevrino puro sangue, ce lo avrebbero guastato: egli avrebbe perduto per noi la metà del suo valore e del suo prestigio»1.
Ed ora, invece? Egli andava in mezzo ad una grande nazione che «sopra ogni altra cosa si crede ricca d’uomini superiori e presso la quale lo straniero ammesso alla cittadinanza è reputato uno che riceve assai più che non dia». Esso è costretto a divenir francese di fatto, «l’assimilazione è di rigore: clausola questa che per essere sottintesa non è meno obbligatoria. Ma il Rossi aveva oltrepassata l’età in cui si cangia e si può cangiare; cosi, quantunque adottato e gradito fra l’eletta società francese, egli non lo sarebbe mai da una maggioranza della nazione. A Ginevra egli, come pubblicista, oratore, giureconsulto, uomo di stato, era il primo; in Francia egli sarebbe al livello, se non di sotto - almeno agli occhi del pubblico - di venti, forse di cinquanta celebrità»2.
Tutto ciò era vero e fu dimostrato più che mai vero dai fatti successivi; ma un concorso di circostanze, la reiezione del nuovo patto federale, la malattia, la povertà, l’abbattimento d’animo, l’ambizione, la grande e quasi smodata fiducia in sè stesso e nel proprio valore e, per conseguenza, le speranze vivissime di elevarsi a grande altezza in un grande paese, spinsero Pellegrino Rossi ad abbandonare la sua seconda patria e a cercarne una terza3. Egli ricominciava, a quarantasei anni di età, il faticoso cammino in traccia della fortuna e della grandezza; nuovo, straniero, povero, nel paese in cui andava, egli non portava con sè che la fama acquistatasi, l’energia conquistatrice e il patrimonio intellettuale.
- ↑ A. E. Cherbuliez, art. cit. del 1849.
- ↑ Lo stesso, ivi.
- ↑ Il Rossi, nel partire da Ginevra, aveva perduto la pazienza ed era adirato contro gli Svizzeri e contro i Ginevrini per gli assalti violenti di cui egli era stato obietto durante la lotta per la revisione del patto federale; onde par certo che esclamasse che la «Repubblica di Ginevra era una babilonia». Edmond Renaudin, nell’articolo citato nel Journal des Économtstrs del 1887.