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capitolo primo 31

il Rossi voleva assicurare alla libertà individuale tutte le garanzie compatibili con l’interesse della società. Il suo ideale era la procedura inglese, che egli aveva profondamente studiata e alla quale riferiva tutto il suo insegnamento come a un tipo, i cui particolari potevano esser modificati, ma il cui spirito e i cui tratti principali esprimevano l’ultimo desideratum della scienza» 1.

L’accoglienza fatta al libro del Rossi dal mondo dei colti e degli intelligenti fu - lo ripeto - festevole ed onorifica. L’autore dimostrava tale profonda conoscenza della storia del diritto e di tutti gli studi intorno ad esso dai più antichi ai più recenti, vi palesava tale vigoria di arte dialettica, tanta altezza di pensiero, tanta nobiltà di civili e sociali intendimenti, che fu salutato da molti come uno dei più grandi, da molti come il più grande fra i penalisti del tempo suo2.


  1. A. E. Cherbuliez, nell’art. cit. del 1849.
  2. Tesserono, inoltre, grandi lodi del Trattato di diritto penale di Pellegrino Rossi, oltre i menzionati di sopra, Lerminier nel Globe del 2 settembre, il Reybaud, il Garnier, il Lozzi, il Saladin e il De Puynode, negli articoli citati, F. Tissot, Le droit pénal étudiée dans ses principes, ecc., Paris, Cotillon libraire-éditeur, 1860, nella Prefazione, a pag. xlii; É. De Girardin, Du droit de punir, Paris, Henry Plon, 1871; D. Giuriati, Arte forense, Torino, Roux e Favale, 1878; Charl. Vergé, articolo sul Trattato di diritto penale nel Journal des Économistes dell’anno 1856, che lo loda moltissimo; e un anonimo nella Edinburqh Review dell’agosto-dicembre 1831, il quale in un dotto e lungo articolo sottopone il Trattato del Rossi ad una acuta critica, forse troppo sottile e minuziosa, ma pure assai laudativa per il Rossi. Ne parlarono in vario senso e piuttosto benevolmente F. Forti, in due articoli dell’Antologia di Firenze già citati; gli illustri T. Mamiani e P. S. Mancini, E. Ferri, il Frank, il Flottard, il Belime, il Thiercelin, il Poggi, il Bon-Compagni, il Conforti, il Borsari, il Montanari, il Niccolini, il Pericoli e molti e molti altri.
       L’illustre Carrara, nel suo Programma del corso di diritto penale, Lucca, tip. Giusti, 1867, stabilito, nella Parte generale, che tre sono i criteri del Rossi per la misura del delitto determinata da tre specie di mali, cioè male materiale, che è il nostro danno immediato, male misto, che è il nostro male mediato, male morale, che è rappresentato dalla violazione del dovere, respinge questo terzo criterio che ha, per lui, un doppio difetto: nel confondere l’ufficio del criminalista con quello del moralista, nell’indefinito a cui conduce la formula suggerita (pag. 117 a 120). Ma poi finisca a pag. 127 per accettare e per fondere insieme quella formula del Rossi e quella del Romagnosi, «le quali si rigettano da noi in quanto si vogliono porre come assolute e cardinali, ma si accettano in quanto siano trasformabili nella formula del danno mediato». Poi ricorda del Rossi le teorie, alcune delle quali combatte, altre loda (pag. 131, 191, 233 e 296) e stesso ne parla pure nelle Parti speciali. Lo assalisce poi, con elegante e spigliata ironia, ma con violenza, nella Introduzione e nella Conclusione ai suoi Lineamenti di pratica legislativa penale, Torino, fratelli Bocca, 1874, e diciamolo pure per la verità, nella conclusione, anche con serrante e finissima