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capitolo quinto 263

Questi due ultimi fatti specialmente, l’estradizione, cioè, dei due esuli napoletani e la minaccia di tutti quei carabinieri, furono le cause determinanti dell’uccisione del Rossi1.

Il nodo di quella ingarbugliata situazione veniva fatalmente al pettine. L’equivoco che aveva dominato, dal 16 settembre, quella situazione, faceva il Rossi — avvertito già da molto tempo delle trame Facciottine — giustamente sospettoso dei democratici, che egli temeva intenti a preparare una sommossa; e, nel tempo stesso, faceva sospettosi i democratici e gli esaltati dell’energia del Rossi, che essi ritenevano disposto a sciogliere la Camera, se questa gli desse un voto contrario, a fare un colpo di stato e buttarsi alla reazione2.


  1. Il capo della sezione di polizia giudiziaria al ministero dell’interno, Domenico Antonio Nardini, afferma, nella citata sua deposizione, che «egli riteneva che la congiura contro il Rossi fosse ordita pel fatto dell’arresto del Carbonelli» (Processo cit., foglio 7691 a 1715).
  2. Tutti gli storici di quegli avvenimenti hanno discusso intorno al risultato che avrebbero avuto gli assalti che la Sinistra del Consiglio dei deputati avrebbe, senza dubbio, dato al ministero Rossi, se il suo capo non fosse stato ucciso; e la maggior parte di quegli storici sono venuti nella conclusione che il ministero avrebbe avuto per sè la maggioranza.
       Il giudice processante Laurenti ricerca, con grande premura, egli pure, da molti fra i testimoni da lui interrogati, la soluzione di tale quesito. Il Ruffini, il Pericoli e il Nardini credono che il ministero avrebbe avuto la maggioranza; lo credono anche, sebbene non proprio con sicurezza, il Minghetti, il Bianchini, il Gigli, il Fusconi e il Pizzoli (tutti deputati); lo credono pure, ma con maggiore titubanza dei precedenti, il Montanari e il Pantaleoni.
       Tutti costoro, invitati a nominare gli oppositori certi del ministero, accennano soltanto — concordi tutti sui nomi dello Sterbinl e del Canino — quelli del Torre e dell’Armellini e si arrestano lì. E dimenticano i più poderosi avversari del ministero Rossi, e cioè il Mamiani e il Galletti; i quali, e per la loro popolarità e per essere già stati al potere, avevano — specialmente il primo — gran seguito alla Camera. Il Mamiani e il Galletti sarebbero stati tratti di necessità e dalle loro convinzioni e dai loro precedenti e dall’impeto popolare ad assalire il ministero, contro il quale si sarebbero senza alcun dubbio schierati — e se ne ha la riprova nei fatti antecedenti e nei susseguenti dei deputati che ora nominerò — l’Armellini, il Torre, il Di Campello, il Galletti, il Mariani, Manzoni Giacomo, il Patrizi, il Marini, il Berti-Pichat, il Borgia, il Fasci, il Neroni, il Martini, il Sacripante. il Lega, il Caporioni, il Marcosanti, il Melloni, il Cicconi, il Viviani e lo stesso presidente Francesco Sturbinetti e, assai probabilmente, l’avvocato Sereni.
       Forse il ministero Rossi non sarebbe caduto il giorno 15 sotto gl’incomposti e furiosi assalti del Canino e dello Sterbini, ma due o tre giorni dopo, quando, con uno de’ suoi eloquenti e misurati discorsi, lo avesse assalito — e, lo ripeto, non poteva farne a meno — il Mamiani, il quale si sarebbe tratti dietro dieci o dodici dei deputati umbri e marchegiani.
       In fine nulla si può dire di preciso su ciò che sarebbe avvenuto; ma