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Non è chi non veda tutta la indeterminatezza di questo progetto di convenzione che non indicava quali fossero gli affari, gli interessi, i diritti della lega; che non parlava nè di guerra offensiva, nè di difensiva, nè di contingenti militari e che mirava a volere includere nella lega anche l’infido Re di Napoli.

Non sembrava che tutte le deficienze quindi e le insufficienze di quel disegno potessero sfuggire all’alta mente e all’acuta penetrazione del Rossi; e pareva, quindi, che si avesse a escludere, per questa ipotesi, che quell’aborto di progetto fosse o potesse essere un errore di pensiero dell’insigne statista; quindi pareva conseguirne severa e minacciosa una seconda ipotesi, che quel progetto fosse il meditato e naturale risultato di una perfidia politica con cui si voleva mandare a vuoto ogni possibilità di lega fra gli stati italiani, o quanto meno uno scaltrito mezzo termine per togliere il Papa dall’affanno insopportabile per lui, di dover partecipare, col suo esercito, alla imminente guerra contro l’Austria.

Da altra parte tanto i diplomatici toscani, quanto i piemontesi, come anche i più autorevoli giornali di Torino, di Firenze e di Roma, vedevano, nel progetto Rossi, quando dal Re di Napoli fosse stato accettato - il che da tutti si reputava impossibile - il desiderio del ministro di Pio IX di accogliere nella confederazione italiana i rappresentanti napoletani a fine di equilibrare la preponderanza che in essa avrebbe potuto avere la bellicosa politica piemontese; senza pretermettere di notare che il Re di Napoli «era un falso fratello» - come scriveva il Martini - «e che, ove fosse entrato nella lega, avrebbe giovato agli interessi dell’Austria e distrutta la federazione»1.

Parole profetiche, che ebbero amplissima conferma nella immediata storia successiva.

Ora questo della lega era uno dei tre disegni, fra i tanti disparati di quel momento, che più attraeva gli sguardi appassionati degli Italiani; e in questo l’atteggiamento preso dal Rossi non sembrava acconcio a conciliargli la benevolenza della pubblica opinione, anzi, disgraziatamente, era tale da attrargli

  1. N. Bianchi, op. cit., vol. VI, cap. I, pag. 15.