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Forse - ciò non è detto, ma è probabile - egli vi era tornato più presto che non avesse disegnato, attrattovi dall’andamento delle cose italiche, le quali a Roma, più che altrove, dovevano sembrare a lui periclitanti e minacciate dopo l’Enciclica del 29 aprile, di cui esso aveva potuto vedere, nel suo viaggio, i solleciti e funesti effetti; e della quale egli era addoloratissimo. Imperocchè, bisogna bene stabilirlo. Pellegrino Rossi era convinto -ed io già l’ho accennato e ne ho addotto le prove-che il moto italiano di quei giorni aveva un principale e irresistibile impulso e un fine universalmente desiderato: l’espulsione dello straniero dalla penisola. Egli aveva espresso la sua opinione in proposito, antecedentemente, dicendo più d’una volta; «il sentimento nazionale, l’ardore di guerra è una spada, un’arma, una forza potente; o Pio IX risolutamente se la reca in mano, 0 la piglieranno le sètte nemiche e la rivolgeranno contro di lui, contro il Papato»1. Il vedere quindi il Papa disertore dall’impresa gli era parso errore doppiamente grave: e per il danno che ne risultava alla guerra d’indipendenza e per quello che ne sarebbe risultato al Papato e a Pio IX. Egli pensava e ripeteva a quei giorni a tutti che «in Italia non era ormai questione di maggiori o minori larghezze di libertà, ma bensì d’indipendenza e per renderla stabile e duratura, quando fosse conquistata, nessun altro mezzo veniva suggerito dal senno politico se non l’ordinamento pronto ed immediato del regno forte e compatto a pie’ delle Alpi, del regno di dodici milioni d’italiani, scudo impenetrabile di nazionalità e di libertà»2.

Quindi, allorchè l’autore del Primato il 24 maggio giunse in Roma e vi fu accolto come un trionfatore, «Pellegrino Rossi... non fu fra gli ultimi a fare onore al Gioberti e s’ebbe con lui parecchi abboccamenti. Quell’uomo insigne, che è stato ai giorni nostri uno dei pochissimi eredi della pratica sapienza dei nostri maggiori, consentì pienamente col filosofo subalpino intorno al

  1. L. C. Farini, Lo Stato romano, vol. II, cap. V, pag. 85; C. De Mazade, art. cit.; Bertolini, op. cit.
  2. G. Massari, nel citato Proemio allo Operette politicheV. Gioberti, nei Documenti della guerra santa d’Italia, che quelle parole udì più volte dalla bocca del Rossi, il quale poi lo riconfermava nello sue Lettere di un dilettante di politica sull’Italia, sull’Alemagna e sulla Francia, di cui parlerò fra breve.