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ecclesiastico, del quale entrarono a far parte il Conte Recchi, il Minghetti, l’avvocato Galletti e l’Aldobrandini che succedeva al Gabrielli nel portafoglio delle armi e restandovi il Pasolini e lo Sturbinetti, che già c’erano.

E il 14 marzo Pio IX largiva finalmente ai suoi popoli quello statuto, pubblicato il 15, che fu la più ingarbugliata cosa del mondo, per l’autorità e l’influenza che si volle riservata in esso nelle pubbliche faccende al Collegio cardinalizio, il quale veniva a costituire una specie di Senato, un terzo Alto Consiglio, superiore al così detto Alto Consiglio e al Consiglio dei deputati, per cui, in certe occasioni determinate, in certe prevedute contingenze, vi avevano tre consessi deliberanti. Quindi i due Consigli, uno, l’Alto Consiglio nominato dal Papa, l’altro, il Consiglio dei deputati, eletto da un ristretto numero di elettori, «non poteano proporre alcuna legge riguardante affari ecclesiastici o misti e che fosse contraria ai canoni e alle discipline della Chiesa; or in Roma gli sponsali, il matrimonio, gli atti di morte, l’insegnamento, la pubblica beneficenza, i tribunali ecclesiastici, le corporazioni religiose, i beni ecclesiastici e cento altre materie sono tutte o ecclesiastiche o miste, così che sottilizzando un po’ come i curiali romani sogliono, non v’era legge civile possibile, che non cadesse nei termini del divieto»1. Quindi «lo statuto concesso da Pio IX se ne aveva le parvenze, non ne aveva il midollo»2; quindi per quello statuto «non doveva proprio essere il caso dell’humano capite di Orazio? E, in effetto, qual mirabile mostro non ne scaturi? due governi in un governo; due aziende in una azienda; due diplomazie in una diplomazia, una occulta, una palese e quella su questa prevalente. L’ibrida creazione nacque morta e come cosa morta fu accettata»3.

Quale fosse l’autorevolissima opinione di Pellegrino Rossi su quello statuto è narrato da lui stesso, il quale al Gioberti - allorché questi, più tardi, venne in Roma - presente il professore Oreste Raggi, raccontò, «a mostrare la leggerezza del Pontefice

  1. G. La Farina, Storia d’Italia dal 1815 al 1850, già citata, vol. II, lib. III, cap. IX.
  2. N. Bianchi, Storia della diplomazia, ecc., già citata, vol. V, cap. II, § 6.
  3. C. Rusconi, Memorie aneddotiche, Roma, Uffici di pubblicità della Tribuna, 1886, cap. V, pag. 38.