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previsioni, o nelle sue ipotesi: era da gran tempo che un Papa liberale non figurava sulla scacchiera di Clemente di Metternich. Da Leone XII a Pio VIII, da Pio VIII a Gregorio XVI il Principe non aveva conosciuti che Papi, tutti, dal più o meno, dello stesso stampo: e siccome egli calcolava — e calcolava ragionevolmente da par suo — che un Papa non è un uomo, ma una istituzione, tanto è vero che l’uomo eletto rinuncia e perde il proprio nome e assume quello di uno dei suoi predecessori, per dimostrare la successione senza soluzione di continuità, e siccome calcolava che, essendo una istituzione, il Papa è il Papato e che, essendo il Papato, non può propugnare e difendere che le tradizioni, i diritti, gl’interessi e gl’ideali della Chiesa, cioè della istituzione che rappresenta; e siccome, d’altra parte, egli sapeva che, dato anche, per ipotesi impossibile, che un matto o uno scemo venisse elevato alla suprema dignità, il collegio cardinalizio, le congregazioni ecclesiastiche, gli ordini religiosi, tutto, insomma, quel complesso e vigorosissimo organismo che si chiama la Chiesa ha sempre tale potere diretto e indiretto, manifesto ed arcano da ricondurre sul retto sentiero l’insensato o il vaneggiante, così alla possibilità di un Papa che avesse velleità liberalesche lui non ci aveva pensato. D’altra parte poi egli era assuefatto così bene con Gregorio XVI e col suo segretario di stato Cardinale Lambruschini che il trovarsi, tutto ad un tratto, davanti a un fatto non presumibile e non prevedibile, non verosimile e non preveduto e trovarsi, fuori di ogni sua consuetudine, a fronte di Pio IX e del Cardinale Gizzi, non solo sconcertò tutti i suoi calcoli e le sue previsioni, ma lo turbò, lo preoccupò seriamente e lo gettò quasi nelle tenebre, quasi nell’ignoto.

Ed aveva ragione di commuoversi tanto perchè la politica liberale poteva — ed egli ben lo vedeva e ne era convinto — produrre due danni gravissimi, anzi due catastrofi; l’una sommovendo l’Europa e mandando a ruina il sistema politico inaugurato dal Congresso di Vienna del 1815 ed entro ai confini del quale egli, Clemente di Metternich, si era affaticato, per trent’anni, a contenere, per quanto aveva potuto, l’indirizzo e l’azione dei governi europei, con questo di più grave che l’abbattimento di quel sistema, implicitamente, portava con se un abbassamento di autorità per l’Impero austriaco e una diminuzione di presti-