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per il che la città e lo stato restarono per dieci giorni quasi senza governo.

«Mi recai ieri alla cancelleria apostolica e vi trovai monsignor Corboli Bussi assai agitato. Io gli dissi senza andirivieni» — scriveva Pellegrino Rossi - «che non volevo tornare sul passato, nè ricercare se non fosse stato facile prevenire ciò che è avvenuto; che allora si avevano avanti tre mesi e adesso appena dei giorni, delle ore, forse: che la rivoluzione era cominciata, che non si trattava ormai più di prevenirla, ma di guidarla, di circoscriverla, di arrestarla e che se si fosse adoperata la stessa lentezza, da benigna che adesso essa era, si sarebbe invelenita; che doveva persuadersi che in fatto di rivoluzioni noi ne sapevamo più di loro e che essi dovevano credere agli esperti i quali erano, insieme, amici loro sinceri e disinteressati; che bisognava fare, senza il minimo indugio, duo cose: effettuare le promesse fatte e fondare un governo solido: in altri termini, pacificare Topinione, che non è ancora pervertita e reprimere ogni tentativo di disordine. Il partito conservatore esiste: esso si è mostrato attivo, intelligente, devoto: bisogna soddisfarlo e dirigerlo».

Le stesse cose il Rossi ripeteva, poco stante, al nuovo segretario di stato Cardinale Ferretti, intorno al quale aggiungeva: « egli non è un grande intelletto, ma ha coraggio e devozione e potrebbe essere per Pio IX una specie di Casimiro Périer. Egli ci ascolterá, credo: egli me lo ha detto con effusione e non è uomo da simulare: anzi ha il difetto contrario» 1.

Ma ciò che reca meraviglia veramente a chi si è assuefatto a seguire l’azione così avveduta, così osservatrice, così preveggente di Pellegrino Rossi in tutto quel sommovimento delle passioni italiane, è il non trovare nella sua corrispondenza, fino a questo punto, neppure un accenno alla grande questione, la quale -consapevoli o inconsapevoli che ne fossero - tutti agitava i cuori italiani e che stava, quasi direi, nascosta sotto quell’apparente desiderio febbrile di riforme e di libertà: alludo alla questione della indipendenza e unione nazionale. A quell’ideale miravano Carlo Alberto e i Piemontesi, per quello sordamente si venivano

  1. Lettera di P. Rossi al ministro Guizot, in data 18 luglio, nella citata opera di M. O. D’Haussonville, tom. II, pag. 228.