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capitolo secondo 117

duto a questo, che poteva essere, e poteva anche non essere, un sentimento di vanità, si ridurrebbe tutta la colpa di Pellegrino Rossi: lieve colpa in verità! 1

Ma, per tornare alle opposizioni che si facevano a Roma contro la nomina del Rossi ad ambasciatore, dirò che i gesuiti ed i reazionari non’ si davano per vinti e, mentre esageravano davanti al Papa e al Cardinale Lambruschini questa difficoltà della moglie protestante, non mancavano di tornare contro il Rossi sulle vecchie accuse: egli rifugiato politico, legislatore repubblicano in Isvizzera, filosofo dottrinario, sempre macchiato della lue liberale e via di seguito. Cosi che il 7 aprile del 1816 il Nunzio monsignor Pomari voleva mostrare al Re Luigi Filippo un dispaccio del Cardinale Lambruschini in cui si sollevavano ancora una volta contro la nomina del Rossi tutte quelle obiezioni. Il Re, che era accortissimo politico, capì subito dove il Nunzio voleva giungere e rifiutò di leggere il dispaccio dal Cardinale Lambruschini inviato a monsignor Pomari e, lodando altamente il Rossi e insistendo sul suo desiderio di nominarlo ambasciatore, rinviò il Nunzio al ministro Guizot, il quale, convinto che «quello era un intrigo politico e gesuitico che bisognava sventare», ribattè ad una ad una tutte le obiezioni contenute nel dispaccio del Cardinale Lambruschini, insistè sulla decisa volontà del Re di nominare il Rossi ambasciatore, mostrò tutta la utilità che da quella nomina deriverebbe allo stesso governo pontificio, fece balenare agli occhi del Nunzio i guai che scaturirebbero dall’ostinato rifiuto e concluse che la sola obiezione seria era il protestantismo della signora Rossi, obiezione che cadeva quando restava convenuto che a Roma ci sarebbe soltanto l’ambasciatore di Francia e non ci sarebbe stata ambasciatrice 2.


  1. «Qui si rivela una delle inconcepibili piccolezze dello spirito cosi segnalato dell’uomo di cui ci occupiamo. Egli era di sangue plebeo, la celebrità del suo nome era l’opera sua: non doveva egli essere fiero di non dovere che a se stesso ciò che gli altri otteng’ono dalla combinazione della nascita?» Così A. De la Forge (Vicissitudes, ecc., tomo I, pag. 264), il quale continua ad inveire contro il Rossi per quel titolo, dimostrando come esso fosse risibile in mezzo alla antichissma nobiltà delle famiglie patrizie di Roma e lo rimprovera di non aver ricordato che il secolo non riconosce altra nobiltà che quella dell’intelligenza e del cuore.
  2. Lettera del ministro Guizot a P. Rossi, in data 20 aprile 1846, nelle Mémoires del Guizot stesso, vol. VII, pag. 455 e seg.