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mazione delle proposizioni, il quale, per chi non ha presenti tutte le identità logiche, risulta troppo faticoso.

Il lettore può continuare ad adottare, onde riconoscere se un ragionamento sia esatto, o non, il comune criterio dell’evidenza. Qui basta notare che queste trasformazioni sono assoggettate a regole fisse, raccolte nell’opuscolo menzionato.

P2. «Dim. Dalla prop. 1 si deduce la 2».

Ecco la trasformazione: Si congiunga ai due membri dell’eguaglianza tesi nella 1 la proposizione c ∈ 1. Osservando che una proposizione ripetuta due volte equivale alla stessa scritta una volta sola (αα = α), si avrà la proposizione

a, b ∈ 1 . ⊃ ∴ c ∈ 1 . cab : = c ∈ 1 . bac.

Ricorrendo alla proprietà logica

α ⊃ β . γ = β δ : = : α β ⊃ . γ = δ

ove α, β, γ, δ sono proposizioni (cioè dire che nell’ipotesi α, la condizione β γ è equivalente alla β δ, significa dire che dall’ipotesi α β si deduce γ = δ), si ha la proposizione 2.

P3. La 3 si ottiene dalla def. 2 come la prop. 2 si è dedotta dalla def. 1.

P12. «Se a è un punto, h e k sono figure, e se h è parte di k, si deduce che ah′ è parte di ak′. Dim. Dall’ipotesi e da P8 si deduce che la proposizione xah′ vale: x è un punto, ed esistono dei punti comuni ad h e xa; da questa si deduce che x è un punto, ed esistono dei punti comuni a k e a xa; questa vale xak′; adunque da xah′ si deduce xak′, ossia la tesi».

Le identità logiche cui si ricorre in questa dimostrazione sono: Se h, k, l sono classi (d’una stessa categoria), si ha

hk . ⊃ . hlkl,

cioè se h è contenuto in k, anche la classe hl è contenuta in kl. Poi

hk . h − = ∧ : ⊃ . k − = ∧

cioè se h è contenuto in k, ed esistono degli k, esistono pure dei k. Infine alla

hk . = : xh . ⊃ x . xk,

cioè dire che h è contenuta in k, vale dire che tutte le volte che x è un h, si possa dedurre che x è un k.