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h(hh′)′, ecc., le quali, se nessuna proprietà si conosce dalla relazione fondamentale c ∈ ab, sono in numero infinito. Se a questa relazione si attribuiscono le comuni proprietà geometriche, esse non sono tutte distinte.
Si hanno definizioni di maggiore eleganza nel modo seguente. Essendo h una classe, si chiami classe derivata da h, e si indichi con h* la classe formata da h, e da tutte quelle che se ne deducono ripetendo più volte le operazioni date dalle def. 6, 7, 8. La definizione di h* non si può esprimere coi segni introdotti, poichè in essa occorre il concetto di numero. Essa si può esprimere mediante questi segni, e quelli introdotti nella «Arithmetices principia». Allora si può definire per retta (P10) la classe derivata da due punti non coincidenti, e per piano (P12) la classe derivata da tre punti non collineari. Queste definizioni e quelle del testo, ammessi gli assiomi geometrici, finiscono per coincidere; ma, scambiando le definizioni, l’ordine delle proposizioni verrebbe del tutto alterato, poichè alcune proposizioni sulla retta e sul piano, che ora dipendono dagli ultimi assiomi, ne diventerebbero indipendenti, e viceversa.
P10. Il segno 2 si può leggere retta, poichè la classe qui definita è precisamente quello che chiamiamo retta, se alle parole punto e segmento attribuiamo il comune significato. Questa definizione si legge:
«Retta è ogni ente x avente la proprietà di potersi eguagliare ad un (ab)′′, ove a e b siano punti distinti».
P11. Il segno Cl si legga collineari.
«Se a, b, c sono punti, allora dire che a, b, c sono collineari, equivale a dire non è assurdo l’immaginare un ente r che sia una retta, e che contenga i punti a, b, c».
P12. Il segno 3 si può leggere piano, per la ragione esposta alla P10.
«Piano è ogni ente (abc)′′, ove a, b, c siano punti non collineari».
P13. Il segno Cp leggasi complanari.
«Quattro punti diconsi complanari se giacciono in un medesimo piano».