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— No, Fonso è in montagna, — mi dissero. — È Giulia. L’hanno presa i tedeschi quest’oggi.
Non ebbi paura. Non mi sentii cadere il cuore. Erano mesi che aspettavo quel momento, quel colpo. O forse, quando una cosa comincia davvero, spaventa meno perché toglie un’incertezza. Nemmeno il loro orgasmo lí per lí mi spaventò.
— Una donna, — dissi, — se la cava di solito.
Non mi risposero. La questione era un’altra. Se l’avevano presa per caso o se da un pezzo sorvegliassero l’alloggio. C’erano stati molti arresti nella fabbrica e sequestri di materiale. Era stata chiamata con altre compagne in cortile e fatte salire insieme sul furgone. Qualcuno era subito corso a dar la voce. Probabilmente in quel momento perquisivano l’alloggio. La moglie di Nando strillava che scappare di casa era stata una sciocchezza. Cosí venivano a cercarli alle Fontane.
Cate le disse seccamente che nessuno poteva parlare.
— Se non Giulia, — disse la sorella piú giovane.
Discutemmo il coraggio di Giulia. Una domanda mi scottava. Non osavo proporla.
— Se qualcosa sapevano, — disse la vecchia, — vi avrebbero già impacchettati.
— Povera Giulia, — disse Cate, — bisogna portarle da cambiarsi.
Allora mi accorsi che a Castelli nessuno della scuola aveva pensato. Chiesi: — Si può portare pacchi nelle prigioni?
Si sentí un’automobile, e tutti tacemmo. Il motore ronzò, ingigantí, tenemmo il fiato. Passò veloce, e ci guardammo come chi esce dall’acqua annaspando.
— Li consegnano i pacchi? — dissi.
— Qualche volta.
— Ma prima si servono loro.
— Non è mica la roba, è il ricordo che fa, — disse Nando.
Quel che pensavo, non lo disse nessuno. Soltanto Dino un certo punto saltò su. — Nascondiamoci in cantina, — disse.
— Tu smettila, — scattò sua madre. Ma tornavamo sempre a Giulia. Il pericolo, disse Nando, era che perdesse la testa e dicesse insolenze. Odiava troppo quella gente. — Se riescono a farla arrabbiare...
Li lasciai ch’era notte. Ci saremmo veduti con Cate a Torino. Uscii nel buio con un senso di sollievo, e trovai Belbo che aspet-
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