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bero, di vita provvisoria. Ripresi a mangiare nella mia trattoria, a tirar dritto, scantonare, incontrarmi con Cate.
La sera, con lei e con Dino, salivamo in collina.
— Aver dei soldi, — dissi a Cate, — non dipendere dagli altri. Sbattersi in fondo a una campagna e non muoversi piú.
— Mi pare che hai tutto, — disse Cate. — Qualcuno sta meglio?
Mi sentii arrossire. — Sono voglie, non sono proteste, — dissi in fretta. — Scherzavo.
— È non pensare a questa guerra che vorresti, — disse lei. — Ma non puoi.
Andammo un tratto in silenzio. Dino trottava sulla strada accanto a me.
— Vorrei soltanto che finisse, — dissi.
Cate alzò il capo vivamente. Non disse parola. — Sí, lo so, brontolai, — l’unico modo è non pensarci e lavorare. Come Fonso, come gli altri. Buttarsi nell’acqua per non sentire il freddo. Ma se nuotare non ti piace? Se non t’interessa arrivare di là? Tua nonna ne ha detta una giusta: chi ha la pagnotta non si muove.
Cate taceva.
— Di’ la tua, signora.
Cate mi adocchiò di sfuggita e sorrise appena. — Quel che vorrei, te l’ho già detto.
Chinando gli occhi li posò su Dino. Fu un sospetto, un accenno, come una rapida allusione. Forse un riflesso involontario, una promessa. «Se fai la tua parte, — poteva aver detto, — c’è anche Dino...» Ci pensavo da un pezzo. Ma queste cose non si mettono in parole. Già il semplice sospetto m’irritava. «Dopo tutto, pensai, — che si crede? Me ne infischio di Dino».
— Fare o non fare queste cose, — dissi forte, — è sempre un caso. Non c’è nessuno che cominci. I patrioti e i clandestini sono tutti sbandati, renitenti, compromessi da un pezzo. Gente che è già caduta in acqua. Tanto vale.
— Molti non sono compromessi, — disse Cate. — Tutti i giorni ne casca qualcuno che poteva restarsene a casa tranquillo. Prendi Tono...
— Ah ma è qui che ha ragione la vecchia, — esclamai, — c’è un destino di classe. Vi ci porta la vita che fate. Non per niente l’avvenire è nelle fabbriche. Mi piacete per questo...
Cate non disse nulla, e sorrideva.
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