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fosse innervosito in quell’ultimo mese, i suoi sarcasmi s’eran fatti piú precisi e divertiti. Le uscite irrequiete, le chiacchiere aggressive e sventate dei primi tempi, erano adesso un sorriso tagliente. Era chiaro che aveva un lavoro, un suo compito che lo prendeva fino in fondo, ma non ne parlava. Avendo tempo, discorreva volentieri. Era un uomo occupato.

Una sera che Fonso non c’era, discutemmo la guerra, sulle cartine dei giornali e sull’atlante che avevo portato per mostrarlo a Dino. Nient’altro che facessi per lui lo interessava; da tempo i suoi capricci puntavano sul ritorno in città dove ogni sera c’era Fonso, e altri ragazzi, e il coprifuoco, i tedeschi, la guerra. La confidenza che Fonso gli dava, i racconti di Nando sulla guerriglia nei Balcani, lo staccavano da me e dalle donne. Nando ci disse cose atroci sugli agguati e sulle rappresaglie nelle montagne della Serbia. — Dappertutto dove arrivano i tedeschi, finisce cosí. La gente comincia a scannarsi.

— Non è tanto i tedeschi, — dissi. — Sono paesi che al mercato ci si va col fucile anche in tempo di pace.

La vecchia, la nonna di Cate, si voltò dal lavandino a guardarci.

— Non sono i tedeschi allora? — brontolò la sorella di Fonso.

La vecchia disse: — Non è colpa dei tedeschi?

— Non è colpa dei tedeschi, — dissi. — I tedeschi hanno soltanto sfasciato la baracca, tolto il credito ai padroni di prima. Questa guerra è piú grossa di quello che sembra. Adesso è andata che la gente ha veduto scappare quelli che prima comandavano, e non la tiene piú nessuno. Ma, fate attenzione, non ce l’ha coi tedeschi, non soltanto con loro: ce l’ha coi padroni di prima. Non è una guerra di soldati, che domani può anche finire; è la guerra dei poveri, la guerra dei disperati contro la fame, la miseria, la prigione, lo schifo.

Di nuovo tutti mi ascoltavano, anche Dino.

— Prendete i nostri, — dissi ancora. — Perché non si sono difesi? Perché si son fatti acchiappare e spedire in Germania? Perché hanno creduto agli ufficiali, al governo, ai padroni di prima. Adesso che abbiamo di nuovo i fascisti, ricominciano a muoversi, e scapperanno in montagna, finiranno in prigione. È adesso che comincia la guerra, quella vera, dei disperati. E si capisce. Bisogna dir grazie ai tedeschi.

— Però accopparli, — disse Nando.


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