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d’infanzia. Certe mattine, alla finestra, guardando le punte degli alberi, mi chiedevo fin quando sarebbe durato quel mio privilegio. Le tendine bianche, fresche, si aprivano sulle foglie profonde e sul versante lontano dov’era un prato in mezzo ai boschi e forse qualcuno dormiva all’addiaccio. Da quanti anni lo vedevo ogni mattina, verde d’erba o irrigidito nella neve? Sarebbero ancora esistite queste cose, dopo?

Cercai di studiare, di leggere libri. Pensai di mettermi con Dino e insegnargli le scienze. Ma Dino era anche lui parte del mondo stravolto; Dino era chiuso, inafferrabile. Mi ero accorto che stava piú volentieri con Fonso o con Nando che con me. Dissi a Cate di mandarmelo alla villa ogni mattina, di non lasciarlo cosí solo sulle strade: seduto con me a un tavolo, si sarebbe applicato. Tanto le scuole non le avrebbero nemmeno riaperte.

— Ma sí, — disse Nando, — te lo levi dai piedi. Che almeno studi, lui che può.

Faceva già fresco, quella sera. Stavamo in cucina, tra le pentole e il lavandino. Fonso non c’era e non c’erano le ragazze. Senza Fonso il discorso languiva. Piú nessuno parlava per discutere, in quei giorni. Quando eravamo cosí insieme, nella luce, li sbirciavo di sottecchi — le smorfie di Dino, i silenzi delle donne — e la cosa piú viva, piú accesa, erano gli occhi baldanzosi di Nando, quegli occhi giovani che della guerra che avevano visto non serbavano traccia. Adesso sua moglie era incinta — c’eran riusciti, senza letto e senza casa — e in lui questa smania s’aggiungeva all’orgasmo della politica.

— Professore, farete scuola a mio figlio? — diceva ridendo, ma l’allegria, la speranza erano tese, disarmate; la moglie ci guardava imbronciata.

Me ne andavo al primo canto di grilli; il coprifuoco lassú non arrivava, ma tant’è quei sentieri mi scottavano sotto. Per le strade di Torino la notte crepitavano fucilate spavalde, i «chi va là» dei ragazzacci, dei banditi che tenevano l’ordine — anche il gioco e la beffa ormai sapevano di sangue. Pensavo a Tono, già caduto in quelle mani, al sorriso sornione di Fonso quando riparlava di lui. Fonso appariva d’improvviso alle Fontane, qualche volta anche di giorno; gli chiesi se l’orario all’officina gliel’avevano ritoccato apposta. Lui strizzò l’occhio e tirò fuori un permesso bilingue da fattorino e guardiano notturno. Di tutti era il solo che non si


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