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sottoterra. M’irritava l’Elvira funerea con quella voce e quelle occhiaie. Capivo bene la durezza di Cate, che queste cose non voleva piú sentirle. Non era stagione d’amori, per noi non era mai stata. Tutti gli anni trascorsi ci portavano qui, a questa stretta. Senza saperlo, a modo nostro, Gallo, Fonso, Cate, tutti, eravamo vissuti nell’attesa di quest’ora, preparandoci a questo destino. La gente che come l’Elvira s’era fatta sorprendere inerme m’irritava soltanto. Preferivo Gregorio, che almeno era vecchio, era come la terra, come gli alberi. Preferivo Dino, grumo oscuro d’un chiuso avvenire.

La ragazza Egle mi diede la notizia che suo fratello era tornato a combattere. Anche questo era un giusto destino. Che cos’altro poteva fare quel ragazzo? Come lui ce n’eran molti, che non credevano alla guerra, ma la guerra era il loro destino — dappertutto era guerra, e nessuno gli aveva insegnato a far altro. Giorgi era un uomo taciturno. Aveva detto solamente: — Il mio dovere è lassú, — e ripreso a combattere. Non protestava, non cercava di capire.

Chi protestava, e non capiva lo stesso, erano i suoi. Lo seppi dall’Egle che ogni mattina passava davanti al cancello in cerca di latte, di uova, di chiacchiere. Si fermava a parlare con la vecchia o con l’Elvira, e nelle voci, nei bisbigli, sentivo l’eco del salotto dei Giorgi, del mondo ben noto, dello studio del padre possidente e industriale. Come andava la guerra? Peggio di prima. Che cosa avevano fatto i fascisti lasciandosi rovesciare? Un atto grande, generoso, un sacrificio per ridare concordia al paese. E in che modo rispondeva il paese? Rispondeva con scioperi, tradimenti e ricatti. Continuassero pure. C’era chi ci pensava. Tutto sarebbe andato a posto prima di quanto si credeva.

Cosí brontolava la madre di Elvira, cosí cominciò l’Egle, che vedeva tutti e sapeva ogni cosa di tutti. «Noialtri», diceva, e noialtri era il padre, era il salotto, era la villa. — Chi piú di noialtri ha sofferto della guerra? La nostra casa di Torino è sinistrata. Il portinaio c’è rimasto. Ci tocca vivere quassú. Mio fratello è tornato a combattere. Da due anni si espone e combatte. Perché questi sovversivi ce l’hanno con noi?

— Che sovversivi?

— Ma tutti. La gente che ancora non capisce perché siamo in guerra. I teppisti. Ne conosce anche lei.


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