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stema sotterraneo per difendere il caseggiato. Erano in pochi, tutti scelti. Si parlava di Gordon, degli Uomini Gialli, del dottor Misteriosus. Al tempo dei primi allarmi avevano fatto esperimenti, tenuto consigli di guerra. C’era con loro anche Sybil, la ragazza dei leopardi, ma diverse bambine facevano Sybil e non c’era nemmeno bisogno di averle nel sotterraneo: i nemici rapivano Sybil e si doveva liberarla. Dino raccontò queste cose in presenza di Cate e della vecchia: si agitò, contraffece le voci e gli spari, ci prese in giro tutti quanti. Canzonava specialmente le scene con Sybil. Io sapevo il perché.

Quando andavamo noi due soli, era diverso. Dino di Sybil non parlava. Lo capivo. Tra uomini una ragazza è sempre qualcosa di indecente. Cosí era stato anche per me, una volta. Sbucavamo tra le piante, scrutandoci intorno. Dove per Dino era questione di tribú, d’inseguimenti, di colpi di lancia, io vedevo le belle radure, lo svariare dei versanti, l’intrico casuale di un convolvolo su un canneto. Ma una cosa avevamo comune: per noi l’idea della donna, del sesso, quel mistero scottante, non quadrava nel bosco, disturbava. A me che le forre, le radici, i ciglioni, mi richiamavano ogni volta il sangue sparso, la ferocia della vita, non riusciva di pensare in fondo al bosco quell’altro sangue, quell’altra cosa selvaggia ch’è l’amplesso di una donna. Tutt’al piú i fiori rossi dell’Elvira, che mi facevano ridere. Anche Dino rideva — perché? — delle donne, di Sybil. Diventava goffo, alzava le spalle, si schermiva. Che cosa sapeva? Istinto o esperienza, eravamo gli stessi. Mi piaceva quella tacita intesa.

Gli allarmi e i passaggi d’aerei ricominciarono presto. Vennero i primi temporali, ma dal cielo lavato la luna d’agosto illuminava fin le bocche dei tombini. Fonso e gli altri ricomparvero. — Questi scemi d’inglesi, — dicevano. — Non lo sanno che basta un’incursione per guastare il lavoro clandestino di un mese? Quando brucia la casa ci tocca scappare anche a noi.

— Lo sanno benissimo. Non vogliono il nostro lavoro, — disse Nando. — Sono tutti d’accordo.

C’era tra noi, quella sera, anche il gigante dalla tuta. Si chiamava Tono. Disse: — La guerra è sempre guerra, — e scosse il capo.

— Fate ridere, — dissi. — Noi siamo un campo di battaglia. Se gli inglesi han demolito la baracca del fascismo, non è mica per


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