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Adesso, nel buio, salivamo la collina. Dino inciampava al nostro fianco. Dormiva. Rimuginando la dolcezza del colloquio di prima, camminavo con Cate, e speravo inquieto. Che cosa? Non so, la sua dolcezza, la fermezza con cui mi trattava, la tacita promessa di non serbarmi rancore — su queste cose contavo da un pezzo. Non potevo nemmeno indignarmi. Lei mi trattava come fossimo sposati.
Discorrevamo a bassa voce, benché Dino non potesse sentirci. Incespicava e già dormiva. Sbuffò come stesse sognando. Gli presi il cranio con la mano e lo sospinsi. Mi sentii sotto le dita me stesso ragazzo, quei corti capelli, la nuca sporgente. Cate capiva queste cose?
— Chi sa se Dino somiglia a suo padre, — le dissi. — Gli piace girare nei boschi, stare solo. Scommetto che quando lo baci si pulisce la faccia. Qualche volta lo baci?
— È un muletto, è una bestia testarda, — disse Cate. — Strappa tutto. A scuola fa sempre la lotta con tutti. Non è mica cattivo.
— A scuola studia volentieri?
— Fin che posso l’aiuto, — disse Cate. — Sono cosí contenta che un altr’anno cambieranno i programmi. Lui studiava e imparava anche quello che non doveva.
Disse questo imbronciata, mi fece sorridere.
— Non pensarci, — le dissi, — tutti i ragazzi voglion fare la guerra.
— Ma che bellezza, — disse Cate, — quel che è successo. Sembra di nascere quest’oggi, di guarire.
Tacemmo un poco, ciascuno ai suoi pensieri. Dino sbuffò, grugní qualcosa. Gli presi la mano, lo tirai al mio fianco.
— E finito un altr’anno, che scuole farà?
— Voglio che studi fin che posso, — disse Cate, — che diventi qualcuno.
— Ma ne avrà voglia?
— Quando tu gli spiegavi dei fiori era felice, — disse Cate, — gli piace imparare.
— Non fidarti. In queste cose i ragazzi si divertono come a fare la guerra.
Mi guardò sorpresa.
— Prendi me, — le dissi. — Anch’io da ragazzo studiavo le scienze. E non sono diventato nessuno.
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