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passo e andò giú di muso come un sacco, poi di nuovo bestemmiò quando Laiolo alzò la testa e fece un salto; si strappò il fazzoletto dal collo, mi disse «Bastardo che sei» e i Seraudi ballavano e si davano zuccate come le capre; poi la gente cominciò a vociare da un’altra parte, il Bizzarro si buttò sul prato e fece una giravolta grosso com’era, picchiò in terra la testa; tutti urlarono ancora; aveva vinto un cavallo di Neive.

Dopo, Irene e Silvia le persi di vista. Feci il mio giro al tirasegno e alle carte, andai a sentire all’osteria i padroni dei cavalli che litigavano e bevevano una bottiglia dopo l’altra, e il parroco cercava di metterli d’accordo. Chi cantava, chi bestemmiava, chi mangiava già salame e formaggio. Di ragazze non ne venivano in quel cortile, sicuro.

A quest’ora Nuto e la musica eran già seduti sul ballo e attaccavano. Si sentiva suonare e ridere nel sereno, la sera era fresca e chiara, io giravo dietro le baracche, vedevo alzarsi i paraventi di sacco, giovanotti scherzavano, bevevano, qualcuno rivoltava già le sottane alle donne dei banchi. I ragazzi si chiamavano, si rubavano il torrone, facevano chiasso.

Andai a veder ballare sul palchetto sotto il tendone. I Seraudi ballavano già. C’erano anche le loro sorelle, ma io me ne stetti a guardare perché cercavo il vestito a fiori e quello bianco. Le vidi tutte e due nel chiaro dell’acetilene abbracciate coi loro giovanotti, le facce sulla spalla, e la musica suonava portandole. «Fossi Nuto», pensai. Andai sotto il banco di Nuto e lui fece riempire il bicchiere anche a me, come ai suonatori.

Mi trovò poi Silvia disteso nel prato, vicino al muso del cavallo. Stavo disteso e contavo le stelle in mezzo ai platani. Vidi di colpo la sua faccia allegra, il vestito a fiori, tra me e la volta del cielo. — È qui che dorme, — gridò.

Allora saltai su e i loro giovanotti facevano baccano e volevano che stessero ancora. Lontano, dietro la chiesa, delle ragazze cantavano. Uno si offrí di accompagnarle a piedi. Ma c’erano le altre signorine che dicevano: — E noi?

Partimmo al chiaro dell’acetilene, e poi nel buio della strada in discesa andai adagio, ascoltando gli zoccoli. Quel coro dietro la chiesa cantava sempre. Irene s’era fatta su in una sciarpa. Silvia parlava della gente, dei ballerini, dell’estate, criticava tutti e rideva.


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